17 maggio 1941, sull’Amba Alagi si arrende con l’onore delle armi, Amedeo duca di Aosta e Vicerè d’Etiopia

“Nell’Africa orientale il presidio dell’Amba Alagi, dopo aver resi­stito oltre ogni limite, ridotto ormai senza viveri e senza acqua, nella impossibilità materiale di curare i feriti, ha avuto ordine di cessare la lotta. Nella battaglia dell’Amba Alagi si sono particolar­mente distinti il gruppo Carabinieri Reali Amba Alagi, la compa­gnia arditi Toselli, la compagnia mortai da 81 della divisione Gra­natieri di Savoia, il battaglione mitraglieri del 10° reggimento Gra­natieri di Savoia, il II e III gruppo del 60° artiglieria Granatieri di Savoia, il XLIII gruppo di artiglieria coloniale, il XXIV gruppo di artiglieria da 75. Il nemico, in omaggio al valore dei nostri soldati, ha loro concesso l’onore delle armi, ha lasciato la pistola agli uffi­ciali ed ha disposto che il nostro presidio, uscendo dal ridotto dell’Amba Alagi, sfili in armi dinnanzi ai reparti inglesi che renderanno gli onori. Il Duca d’Aosta segue la sorte delle sue truppe. La resi­stenza continua nella regione del Gimma e in quella di Gondar”.

Bollettino di guerra n° 348 del 19 maggio 1941

Il 17 maggio 1941, dopo un mese esatto di eroica resistenza nel ridotto dell’Amba Alagi, le truppe al comando del vicerè d’Etiopia Amedeo duca di Aosta, ormai senza più né viveri né acqua si arrendono,  alle preponderanti forze nemiche inglesi ed abissine. Vediamo brevemente le vicende che portarono le truppe italiane a raggiungere il precedente 17 aprile le alture dell’Amba Alagi, per organizzare l’ultima disperata resistenza.

Dopo alcune vittorie in Kenia e Sudan le truppe italiana avevano attaccato la Somalia britannica occupandola nell’agosto del 1940, precisamente il 19 agosto, giorno dell’occupazione da parte delle truppe italiane e coloniali di Berbera, capitale della colonia di sua Maestà britannica. Ricordiamo prima di proseguire che la perdita della Somalia, rappresenterà l’unico grande territorio perso dalle truppe inglesi nel corso del secondo conflitto mondiale. Dopo alcuni mesi durante i quali le truppe britanniche vennero rifornite e rinforzate di tutto punto, a differenza delle nostre impossibilitate alcun tipo di aiuto, il 21 gennaio 1941 il generale britannico Alan  Cunningham, fratello dell’ammirgalgio Andrew comandante in capo della Mediterranean Fleet, lanciava l’offensiva contro l’Impero italiano in Africa orientale.

Artiglieri sudafricani impegnati nella battaglia dell'Amba Alagi

Le truppe italiane completamente isolate dalla madrepatria e occorre ancora ribadirlo, con nessuna possibilità di essere rifornite subirono l’offensiva britannica. Il 10 aprile 1941 le colonne di truppe regolari britanniche e di ribelli abissini ripresero la capitale Addis Abeba e il 17, il duca d’Aosta si asserragliava con circa 7.000 uomini tra cui un battaglione mitraglieri, un reggimento di artiglieria con 40 cannoni da 65/17 ed un reggimento di fanteria, sull’Amba Alagi, un alta montagna (3.438 metri) da cui si domina la strada che collega Macallè e Mai Ceu; fortificandola.

L’Amba Alagi fa parte di una catena montuosa formata da nove monti; nei pressi della catena montuosa si trova la strada che da Dessiè porta al nord e attraversa la catena tramite il passo Alagi, dal nome del monte che lo domina. A fronteggiare queste poche migliaia di truppe italiane vi erano consistenti forze , per la precisione circa 41.000 uomini di cui 25.000 anglo-indiani e 16.000 abissini. Si trattava di una divisione indiana, un raggruppamento di brigate sudafricane e vari reparti indigeni.

Dopo la conquista di Dessiè avvenuta il il 22 aprile si unì a loro un numeroso gruppo di guerriglieri etiopici, gli Arbegnuoc. Alla fine del mese la situazione per le nostre truppe cominciò a complicarsi, non si riusciva a reperire rifornimenti e oltretutto altre truppe, precisamente quelle indiane, stavano dirigendo, provenienti dall’Eritrea ai piedi dell’Amba guidate dal generale Cunningham.

Nei primi di maggio crebbe la pressione dei britannici e degli etiopici, ma ancora il 3 maggio gli italiani respinsero un duplice attacco inglese con un piano ben congegnato. Infatti mentre un reggimento avrebbe fatto da diversivo muovendosi verso est, verso il passo Falagà, un battaglione avrebbe guidato l’attacco al massiccio centrale; entrambi gli attacchi furono respinti dagli italiani.

Il giorno successivo i britannici riuscirono a occupare tre cime della catena grazie all’intervento dell’artiglieria e il 5 maggio venne occupata un’altra cima, ma non riuscirono ad andare oltre per l’efficace fuoco di sbarramento operato dalle mitragliatrici italiane. Nel silenzio della notte gli inglesi riuscirono a risalire l’Amba e ingaggiarono battaglia; nel frattempo un altro gruppo di inglesi approfittò dello scontro per occupare un altro monte.

Lo stesso 5 maggio 1941, a cinque anni esatti dell’entrata delle truppe italiane nella capitale etiopica,  il Negus Haile Selassie fece ritorno ad Addis Abeba su un’Alfa Romeo scoperta, preceduto dal colonnello inglese Wingate su un cavallo bianco. Il Negus Neghesti, appena rientrato ad Addis Abeba, esortò tutti gli etiopi a non vendicarsi sugli italiani e a non ripagare loro le atrocità che avevano commesso per cinque anni.

Sul ridotto dell’Amba Alagi nel frattempo continuava la strenua resistenza delle sempre più stremate forze italiane. Continuavano incessanti gli attacchi e dopo violente azioni le truppe britanniche riuscivano a conquistare un altra montagna solo il 14 maggio. Ora rimaneva soltanto l’Amba Alagi, ma ormai la partita era decisa. Senza più acqua e viveri, alle truppe italiane e indigene lì asserragliate non rimase che arrendersi. Era il 17 maggio e in omaggio alla strenua resistenza delle truppe italiane, il nemico concesse l’onore delle armi, reso non solo in omaggio all’alto appartenente della Casa Reale italiana.

Le truppe britanniche rendono omaggio ad Amedeo, terzo Duca d'Aosta al momento della resa

È degno di nota (e pressoché regolarmente ignorato nei libri di storia) il fatto che, poco prima della resa, il Duca avesse autorizzato gli ufficiali a lasciar tornare nei propri villaggi le truppe indigene che, con martellante frequenza, erano state minacciate dagli assedianti dell’Amba Alagi di drammatiche ritorsioni ai danni dei loro averi e delle loro famiglie qualora gli ascari non si fossero consegnati alle truppe di Sua Maestà britannica.

Pochissimi di loro lo fecero, come risulta dai Bollettini del SIM (Servizio Informazioni Militare) conservati presso l’Archivio Centrale di Stato di Roma, rubricati sotto l’anno 1941 – gli abbandoni non furono superiori alla quindicina di casi, tutti peraltro attuati controvoglia dai soldati indigeni che, con i loro ufficiali, avevano creato nel tempo un profondo rapporto cameratesco reso più intenso dalle difficoltà belliche.

Vedremo in alcuni post successivi come dopo la resa del viceré la resistenza italiana continuò in altri settori. Solo il 27 novembre 1941 i 40.000 uomini della guarnigione di Gondar, agli ordini del generale Guglielmo Nasi, dopo essersi comportate egregiamente, si arresero e pagarono con 4.000 morti (3.700 ascari e 300 italiani) e 8.400 feriti la sconfitta finale. Al generale e ai superstiti i britannici tributarono gli onori militari. Tuttavia non era ancora finita, nutriti gruppi di ufficiali e soldati italiani e alcuni fedelissimi soldati indigeni, continuarono in gruppi la resistenza sotto forma di guerriglia partigiana, fra essi ricordiamo il “Fronte di Resistenza” e i “Figli d’Italia”.

Riguardo al duca di Aosta, verrà condotto prigioniero in Kenia e li purtroppo troverà la morte pochi mesi dopo, il 3 marzo del 1942, quando la sua vita verrà spezzata dalla tubercolosi contratta sui campi di battaglia. Chi volesse approfondire l’affascinante storia del valoroso Vicerè può leggere il nostro post a lui dedicato.

3 marzo 1942, muore l’eroe dell’Amba Alagi

Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post e con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

6 pensieri riguardo “17 maggio 1941, sull’Amba Alagi si arrende con l’onore delle armi, Amedeo duca di Aosta e Vicerè d’Etiopia

  1. Nella foto dove si vede una batteria di artiglieria, la didascalia parla di artiglieri australiani. Credo ci sia un errore: caschi coloniali e obici impiegati li individuano come artiglieri italiani.

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  2. Articolo molto ben fatto e corretto.
    Una figura, quella del Duca d’Aosta, che dovrebbe essere ristudiata senza pregiudizi dal suo: “Voglio governare non regnare” che fu la chiave del suo e nostro successo. Fino alla non voluta entrata in guera.
    Alberto Pregno

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  3. […] Il 3 aprile 1941, il Governo centrale e i vertici militari  abbandonavano Addis Abeba, capitale dell’Africa Orientale Italiana e il 5  lo sgombero della città era completato. Il Viceré d’Etiopia il Duca Amedeo d’Aosta si dirigevano verso l’Amba Alagi, un monte alto circa 3.000 metri che fa parte di una catena montuosa formata da nove monti, per organizzare l’ultima resistenza. Il Duca e circa settemila uomini fra nazionali e indigeni resisteranno su quelle alture fino all’esaurimento di viveri e munizioni fino al 14 maggio ricevendo l’onore delle armi dalle truppe britanniche. […]

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  4. Tra Vittorio e il suo odiato cugino il mezzo metro in meno in altezza era infine la differenza di gran lunga meno importante.Il duca seppe resistere alle lusinghe nemiche alla vigilia della guerra con una lealtà’ al suo re, di certo da quest’ ultimo immeritata.Governo’ dimostrando il volto umano degli italiani, dopo le stragi di Graziani, guadagnandosi un parziale aiuto militare dagli autoctoni,che quest’ ultimo di certo non avrebbe invece potuto sperare.
    ” Io rimarrò’ con la mia gente”- pare abbia detto ai vincitori scegliendo la loro stessa strada verso la prigionia: non disse “ con i miei soldati”. Una grande signorile umanità’ in quella affermazione, di valore morale ben al di là’ di altri generali, sebbene essi di origine sociale popolare e di ben oltre di cio’ che essi potevano mai essere.
    La testimonianza di alcuni dei suoi soldati ,poi prigionieri con lui , affermava anni dopo che la sua tbc sia stata mal curata, per colpa se non addirittura per dolo, dai medici britannici; ma di cio’ non ci sono prove.

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