L’ultima raffica di Salò, la morte di Alessandro Pavolini

Siamo nei ultimi tragici giorni della seconda guerra mondiale, il 25 aprile 1945 il Comitato di Liberazione Nazionale ha emanato l’ordine di insurrezione generale, la Repubblica Sociale è praticamente crollata i tedeschi pensano solo a ritirarsi verso la Germania. Dopo il fallimento delle trattative di resa e la riunione al palazzo della Prefettura di Milano con quello che resta della Repubblica, Mussolini decide di accettare la proposta di Pavolini ed impartisce l’ordine di dirigersi verso il Ridotto alpino repubblicano, ordine mascherato nella formula “Precampo a Como”, ma tuttavia ben chiaro.

Mussolini si appresta a lasciare Milano.jpg
Mussolini si appresta a lasciare Milano

Alessandro Pavolini, segretario del Partito Fascista Repubblicano e comandante del Corpo Ausiliario delle Camicie Nere, meglio note come Brigate Nere, ordina ai reparti della Liguria e del Piemonte di muovere verso la Valtellina stimando in circa 25.000 le unità in movimento. Prima di partire Pavolini ha un violento scontro con il Ministro della Guerra il Maresciallo d’Italiq Rodolfo Graziani, che lo accusa di mentire e di illudere il Duce, e con Junio Valerio Borghese, il quale gli dice chiaramente che la Xª Flottiglia MAS non sarebbe andata in Valtellina e che si sarebbe arresa “a modo nostro”.

Alla partenza di Mussolini, Pavolini spintona Carlo Borsani, cieco di guerra pluridecorato e Medaglia d’oro al valor militare, che supplicava il Duce di trattenersi a Milano dove stava trattando la resa con i partigiani. Mussolini parte la sera del 25 aprile; seguito il giorno dopo da una colonna di 178 veicoli, che contava 4.636 uomini e 346 ausiliarie al comando di Pavolini. Della stessa faceva parte l’autoblindo artigianale fatta preparare da Idreno Utimpergher, Comandante della XXXVI Brigata Nera di Lucca.

Una volta giunta a Como la colonna non trova Mussolini che nel frattempo aveva proseguito il viaggio verso Menaggio. Nella notte del 26 tutti sostano a Menaggio, dove si aggiunge un convoglio militare tedesco in ritirata, composto da trentotto autocarri e da circa duecento soldati della Flak, la contraerea tedesca, al comando del capitano Hans Fallmeyer. Quando tutti si rimettono in marcia verso la Svizzera, Pavolini porta in testa al corteo il suo autoblindo, in pratica un vecchio camion Lancia 3 RO requisito alla Manifattura Tabacchi di Lucca e fatto corazzare.

L'autoblindo “Lucca”.jpg
L’autoblindo “Lucca”

Dopo circa un’ora di viaggio Pavolini ordina di fermare la colonna, chiedendo a Mussolini (della cui sicurezza si era autoproclamato responsabile) di scendere dalla sua auto per viaggiare sul suo autoblindo. Poco più avanti la nutrita e armata colonna incappa nel posto di blocco improvvisato dalla 52° Brigata d’assalto Garibaldi “Luigi Clerici” tra Musso e Dongo. Sono le 7.30 del 27 aprile 1945 ed inizia una estenuante trattativa tra i tedeschi ed i partigiani.

Da una parte i partigiani, comandati da Pedro, il conte Pier Bellini delle Stelle, accompagnato dall’interprete Aimone Canape di Dongo, dall’altra: Francesco Barracu, Medaglia d’Oro, Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri della RSI; Vito Casalinuovo, colonnello della G.N.R. ufficiale d’ordinanza del Duce; Idreno Utimpergher e il capitano Hans Fallmeyer. Il comandante della colonna tedesca fa presente che vi sono accordi tra i comandi superiori e quelli partigiani; i tedeschi non devono attaccare i partigiani, che però devono lasciare transitare la colonna che intende raggiungere la Germania passando per Merano.

Pedro comunica ai tedeschi che, per lasciarli transitare, deve andare a Chiavenna per consultarsi con il suo superiore: Dionisio Gambaruto “Nicola”. Il comandante Pedro e il comandante tedesco Fallmeyer, con Michele Moretti “Pietro” ed il cittadino svizzero Alois Hoffman, che funge da interprete, si recano a Chiavenna. Così scrive il Brigadiere della Guardia di Finanza Giorgio Buffelli nella sua relazione sui fatti di Dongo.

“Alle ore 13 circa fecero ritorno i parlamentari e il comandante Pedro ci comunicò che il comando di Chiavenna aveva deciso di lasciar passare i tedeschi armati senza fare uso delle armi; nessun italiano però doveva passare con la colonna stessa e per cui noi dovevamo visitare tutte le macchine per tale scopo. Per cui fu deciso di far proseguire la colonna fino a Dongo dove ebbe luogo la visita a tutti gli automezzi”

I tedeschi possono passare e dirigersi verso la Germania, per gli italiani invece pare non esserci via d’uscita. A quel punto a Mussolini viene fatto indossare un pastrano ed un elmetto da sottufficiale tedesco, che copre la divisa della Guardia Nazionale Repubblicana nel tentativo di farlo in tal modo passare inosservato e consentirgli di superare il blocco. Il Duce viene fatto salire sul quarto autocarro della colonna della Flak, quello targato WH 529507.

Il convoglio tedesco con a bordo Mussolini, si incammina verso la Germania, gli italiani come stabilito invece avrebbero dovuto invece tornare indietro. A quel punto succede un fatto mai del tutto chiarito e che non troverà mai risposta; l’autoblindo con a bordo Pavolini parte bruscamente non si sa per una manovra scomposta o per tentare di forzare il blocco. Ne nasce una violenta sparatoria e mentre Barracu propone di arrendersi, Pavolini grida:

“Dobbiamo morire da fascisti, non da vigliacchi”

preso il mitra si lancia quindi verso il lago, correndo e sparando, inseguito dai partigiani che gli sparano addosso. Il segretario viene ferito in modo piuttosto grave da schegge di proiettile ai glutei, ma non si arrende. Viene allora organizzata un’ampia battuta di ricerca che, nella notte porta alla cattura del fuggitivo, indebolito dalla ferita. Il comandante dell Brigate Nere viene allora portato a Dongo, nella Sala d’Oro del palazzo comunale, dove sarà poi condotto brevemente anche Mussolini, nel frattempo riconosciuto e catturato.

I gerarchi fascisti poco prima di essere fucilati sul lungo lago il 27 aprile 1945.JPG

Nicola Bombacci, Francesco Maria Barracu, Idreno Utimperghe, Alessandro Pavolini, Vito Casalinuovo, Paolo Porta, Fernando Mezzasoma, Ernesto Daquanno

Insieme a Paolo Porta e Paolo Zerbino Pavolini viene processato per collaborazionismo con il nemico, passibile per il C.L.N. di fucilazione immediata secondo la sua ordinanza del 12 aprile precedente, stessa sentenza anche per gli altri 12 arrestati. Pavolini ebbe per ultimo vanto quello di guidare la fila indiana dei condannati che dall’edificio del comune si avviò verso il lago, nei pressi del quale furono schierati di schiena per l’esecuzione che avvenne intorno alle 17.48 del 28 aprile 1945.

“Un’Idea vive nella sua pienezza e si collauda nella sua profondità quando il morire battendosi per essa non è metaforico giuramento ma pratica quotidiana”

Con lui scompariva una delle figure principali del Fascismo, per quanto sbagliata potesse essere la sua ideologia e i mezzi che aveva adottato per metterla in pratica, Pavolini era incontestabilmente una persona di una linearità e di una rettitudine esemplare. Con il fascismo non si era arricchito e non aveva cercato con bramosia di occupare posizioni che gli avrebbero permesso di gestire un potere a cui aveva sempre dimostrato di non ambire. Il ruolo che occupava era per lui il mezzo necessario per adempiere al suo dovere, la maniera per servire la Patria nel migliore dei modi.

Chi fra i nostri lettori, volesse approfondire la sua figura può rileggere il nostro post a lui dedicato al seguente link:

Alessandro Pavolini, il superfascista

Il cadavere di Pavolini fu esposto il giorno dopo a Milano, a Piazzale Loreto, appeso con quello di Mussolini e di altri gerarchi. Il suo corpo riposa al Campo X del Cimitero di Musocco: “Campo militare dell’Onore”, dove nel corso degli anni successivi alla guerra sono stati riuniti i resti di alcune centinaia di caduti della Repubblica sociale italiana. Nello stesso sono sepolti nove volontari italiani nelle SS, oltre a centocinquanta militi delle Brigate nere, più di cento della Legione Ettore Muti e oltre quaranta della Decima Mas.

Al Campo X sono state anche tumulate alcune delle figure che hanno fatto la storia del ventennio fascista e della RSI, oltre al già citato Alessandro Pavolini segretario nazionale del Partito fascista repubblicano, oltre che comandante generale delle Brigate Nere, riposano i gerarchi Francesco Maria Barracu e Carlo Borsani, Francesco Colombo il capo della Ettore Muti, Armando Tela uno dei luogotenenti della “banda Koch” e tre medaglie d’oro al valo militare fra cui l’Asso prima della Regia Aeronautica e poi dell’A.N.R. maggiore Adriano Visconti di Lampugnano.

Chi volesse approfondire la vita de Alessandro Pavolini può leggere l’ottimo libro sopra citato scritto da Arrigo Petacco, “Il superfascista – Vita e morte di Alessandro Pavolini” qui proposto nel comodo ed economico formato Kindle.

Il Superfascista Vita e morte di Alessandro Pavolini

Grazie per aver letto il nostro post e con la speranza che lo abbiate apprezzato e vogliate continuare a seguirci, Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

2 pensieri riguardo “L’ultima raffica di Salò, la morte di Alessandro Pavolini

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.