“Noi siamo i deputati dei morti”

 “Ufficiale addetto ad un Comando di reggimento alpino, sostituiva volontariamente, nel corso di un aspro combattimento, un comandante di plotone caduto. Durante dieci giorni di ripiegamento, si batteva sempre alla testa dei suoi uomini, con eroico slancio infliggendo al nemico, in successivi scontri, gravi perdite. In un’ultima azione, preclusa ogni via di scampo, dopo una disperata resistenza che s’imponeva alla ammirazione dello stesso avversario, veniva travolto e catturato. Durante dura e tormentosa prigionia serbava contegno superbo per virile fierezza, sdegnosa noncuranza di sopraffazioni e violenze, incrollabile amor patrio e generoso altruismo. Colpito da grave morbo soccombeva, debellato nella carne, ma non nel nobilissimo spirito”.

Il post odierno è dedicato alla figura di Italo Stagno, tenente degli alpini morto in un campo di prigionia sovietico il 24 settembre del 1947, due anni e mezzo dopo la fine della guerra in Europa. Stagno fu uno dei tanti martiri morti a causa delle ferite e degli stenti patiti, nei durissimi campi di prigionia sovietici, di lui purtoppo Stagno si conosce molto poco circa la sua biografia giovanile.

Nato a Cagliari nel 1902, giovanissimo si impegna nell’organizzazione sindacale e nel 1929, da vita al giornale universitario “Pattuglia” che in poco meno di due anni viene stampato in 33 numeri. Giornale che ebbe collaboratori di fama nazionale, ma acquistò notorietà sopratutto per la battaglia che ingaggiò contro l’introduzione nelle miniere sarde del cosiddetto ‘metodo Bedaux’, ovvero la retribuzione degli operai non più rapportata alle ore lavorate, bensì alla quantità di merce prodotta.

 Questa e altre campagne procurarono a Stagno non pochi grattacapi:

«33 numeri, 2 sequestri, molte censure, interminabili grane, cordialità timide, inimicizie palesi, indispensabili, corroboranti. Questo, all’incirca, il nostro bilancio senza scoperti».

Conseguita la laurea in giurisprudenza ebbe l’incarico di direttore didattico presso la scuola elementare di piazza del Carmine, salvo poi trasferirsi, nel 1931, a Vercelli per ricoprire l’incarico di segretario del sindacato dei lavoratori del tessile. Con questa funzione introdusse nel contratto collettivo dei lavoratori lanieri di Biella, per la prima volta in Italia, l’istituto degli assegni familiari.

Italo Stagno non fu solo un grande uomo nel sindacato, ma anche un grande soldato. Prestò servizio di prima nomina in forza al 7° reggimento Alpini per poi ottenere la promozione a tenente nel 1940. Nel 1941, mentre imperversava l’Operazione Barbarossa, partì per la zona di guerra e raggiunse la Russia dove gli venne assegnato al 1° reggimento alpini della Divisione Cuneense.

Italo Stagno venne fatto prigioniero durante la disfatta del Don e venne imprigionato a Suzdal’. Quando i membri del Partito comunista italiano rifugiatisi in Unione Sovietica chiesero a lui ed ad altri soldati di abbracciare la fede comunista, si oppose fermamente. Una frase, in particolare, lo fece innalzare a baluardo della lotta anti-sovietica:

“Noi abbiamo un dovere, quello di riportare in Italia intatte la bandiera e la fede che migliaia di fratelli caduti nelle steppe gelate di Russia e sui campi di battaglia ci hanno affidato. Siamo prigionieri ed abbiamo perduto la grazia di essere uomini liberi, siamo sempre legati ad un giuramento e dobbiamo mantenerlo per essere degni dei nostri Caduti. Signori, noi siamo i deputati dei morti”.

Tra le lacrime dei suoi compagni di sventura, Italo Stagno venne condannato al “trattamento speciale” che lo porterà come era inevitabile, sino alla morte. Nel dicembre 1945, ebbe la visita di un gruppo di esponenti del Partito comunista capeggiati da D’Onofrio, che nel dopoguerra diventerà vicepresidente della camera. Essi tentarono di convincere il ‘sindacalista nazionale’ a schierarsi dalla parte della classe operaia, ovvero del Pci e dell’Unione Sovietica ottenendone un fermo rifiuto.

Fortemente debilitato dal ‘trattamento speciale’ morirà nel morte nel campo di prigionia 160 a Susdal il 24 settembre 1947. Il tenente medico Enrico Reginato gli rimase accanto fino all’ultimo respiro e rientrato in Italia nel 1954, alla fine di una lunghissima prigionia, scrisse:

«Dopo avermi raccomandato di recare in Patria il suo saluto ai familiari, ricordò di aver dimenticato al campo da cui proveniva un libricino di appunti nel quale, disse “c’è un po’ della mia anima. Italo Stagno era già spirato quando riuscii a recuperare quel taccuino. Vi trovai una toccante composizione poetica, della quale ricordo alcuni frammenti: di essi desidero resti traccia…».

Il compositore Mario Lanaro, già direttore del coro della Brigata alpina Julia, scelse alcuni versi della poesia da mettere sul pentagramma e con mani sapienti creò un nuovo canto, “Finché la notte”. Ecco i versi più struggenti di questo canto:

« … Sono stanco
e occorre che vada
che trovi l’ultimo lido
prima che venga notte …
Dammi, o Signore, la strada! »

Nell’ottobre del 2004, biene intitolata alla sua memoria una piazza di Cagliari. Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

 

 

 

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