“La consegna è quella di morire sul posto” I franchi tiratori fiorentini

“La città italiana che preferisco? Firenze. Perché lì gli italiani ci hanno accolti sparandoci addosso”.

Cosi ebbe a dire a proposito dei combattimenti nella città di Firenze, il generale inglese Harold Alexander e in effetti i fatti si svolsero proprio così.

Si spara per stanare i franchi tiratori 2

L’11 Agosto 1944, gli inglesi ed i partigiani del C.T.L.N., il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale entravano vittoriosi nel capoluogo toscano dopo alcune settimane di combattimenti. Combattimenti che il Primo Ministro britannico Churchill ed i tedeschi avrebbero volentieri evitato, ma che invece vollero principalmente i partigiani.

Durante la “battaglia di Firenze”, quando tutto sembrava finito, con le truppe tedesche e i reparti della Repubblica Sociale, in ritirata verso nord per raggiungere la linea gotica, emerse un nuovo originale fenomeno, che ritroveremo poi anche in altre città del nord Italia, Torino in particolare ma che a Firenze trovò la sua massima espressione.

La vicenda in questione è quella dei cosiddetti “franchi tiratori”, due forse tre centinaia di fiorentini di ambo i sessi e di tutte le età che appena si affacciarono in città i reparti alleati e le formazioni partigiane cominciarono a sparare dalle finestre, dai tetti, dagli angoli delle strade. Non avevano alcuna speranza di sopravvivenza perché, una volta presi, sarebbero stati fucilati.

Per molti organizzati da Alessandro Pavolini segretario del Partito Fascista Repubblicano e comandante delle Brigate Nere, in persona, per altri autentico “fenomeno” popolare voluto da quei ragazzi che, impossibilitati ad arruolarsi nelle Forze Armate della Repubblica Sociale per motivi anagrafici (i più avevano tra 14 e 16 anni), scelsero un modo tutto loro per contribuire a difendere la loro Firenze e l’idea sotto la quale erano nati e cresciuti.

I franchi tiratori, dimostrarono che la città del segretario del Partito Fascista Repubblicano, il capoluogo del Granducato di Toscana, non sarebbe caduta senza colpo ferire. Un sacrificio che se non fosse stato per Curzio Malaparte che ne narra ne “La pelle” sarebbe totalmente passato inosservato e che, comunque, è caduto per decenni nell’oblio.

Quell’ 11 agosto del 1944, gli ultimi soldati repubblicani ad abbandonare il capoluogo toscano provarono a convincere quei ragazzi a mettersi in salvo con loro, ma essi non vollero sentire ragioni.

“La consegna – risposero – è quella di morire sul posto”. E così fecero.

Tra i franchi tiratori che, a Firenze e nelle città del Nord, continuarono la battaglia per ostacolare l’ingresso di Alleati e partigiani, vi furono anche parecchie donne….la Reuter parlerà di 25 ragazze catturate nella sola Firenze. Arroccati su 4 linee di difesa, potendo contare sull’appoggio militare dei tedeschi che continuarono ad occupare fino al 18 agosto il territorio alle loro spalle, resistettero per 2 settimana al termine delle quali, finirono quasi tutti uccisi.

Tiri di cannone contro i franchi tiratori
Per stanare i franchi tiratori si procede a colpi di cannone

Fra loro come detto anche un piccolo reparto di giovani donne che dal giugno del 1944 si erano preparate a quel giorno, addestrandosi intensamente al lancio delle bombe balilla, che lanceranno a due alla volta su alleati e partigiani entranti a Firenze. Molti di esse praticamente tutte quellei catturate vive vennero fucilati dai partigiani, in quei giorni avere quattordici o trent’anni, era uguale. L’umana pietà aveva lasciato ormai posto soltanto all’odio e alla sete di vendetta.

Per capire il clima di nervosismo che si respirava in quei giorni a Firenze ricordiamo l’assurda vicenda del maresciallo Luigi Gallerani che proprio l’11 agosto del 1944, al seguito delle truppe alleate, rientrava a Firenze e raggiungeva casa sua in Borgognissanti, strada ben presidiata dai franchi tiratori. Affacciatosi alla finestra, forse per rendersi conto della situazione, venne notato da un picchetto di partigiani a caccia di “cecchini”, che lo invitarono a scendere in strada.

Appena fuori dal portone, un gruppetto di persone inferocite, lo assalì e, senza ascoltare le sue rimostranze, lo trascina di peso nella vicina via Orti Oricellari. Qui vien messo immediatamente al muro, e ucciso con una raffica di mitra. Il figlio, partigiano, e la vedova, dopo qualche giorno pretesero che venisse aperta un’inchiesta, ma naturalmente non se ne farà di nulla. Grazie per aver letto  il nostro post e con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

Frnachi tiratori fucilati sul sagrato di santa Maria Novella
I cadaveri dei fucilati sul sagrato di Santa Maria Novella

Sotto per chi volesse leggerlo riportiamo il racconto estratto dal libro sopra citato di Curzio Malaparte, “La pelle” che parla della fucilazione dei franchi tiratori catturati da parte dei partigiani.

I ragazzi seduti sui gradini di Santa Maria Novella, la piccola folla di curiosi raccolti intorno all’obelisco, l’ufficiale partigiano a cavalcioni dello sgabello ai piedi della scalinata della chiesa, coi gomiti appoggiati sul tavolino di ferro preso a qualche caffè della piazza, la squadra di giovani partigiani della Divisione comunista «Potente», armati di mitra e allineati sul sagrato davanti ai cadaveri distesi alla rinfusa l’uno sull’altro, parevano dipinti da Masaccio nell’intonaco dell’aria grigia. Illuminati a picco dalla luce di gesso sporco che cadeva dal cielo nuvoloso, tutti tacevano, immoti, il viso rivolto tutti dalla stessa parte. Un filo di sangue colava giù per gli scalini di marmo.

I fascisti seduti sulla gradinata della chiesa erano ragazzi di quindici o sedici anni, dai capelli liberi sulla fronte alta, gli occhi neri e vivi nel lungo volto pallido. Il più giovane, vestito di una maglia nera e di un paio di calzoni corti, che gli lasciavano nude le gambe dagli stinchi magri, era quasi un bambino. C’era anche una ragazza, fra loro: giovanissima, nera d’occhi, e dai capelli, sciolti sulle spalle, di quel biondo scuro che s’incontra spesso in Toscana fra le donne del popolo, sedeva col viso riverso, mirando le nuvole d’estate sui tetti di Firenze lustri di pioggia, quel cielo pesante e gessoso, e qua e là screpolato, simile ai cieli di Masaccio negli affreschi del Carmine.

Quando avevamo udito gli spari, eravamo a metà di Via della Scala, preso gli Orti Oricellari. Sboccati sulla piazza, eravamo andati a fermarci ai piedi della gradinata di Santa Maria Novella, alle spalle dell’ufficiale partigiano seduto davanti al tavolino di ferro.

Al cigolio dei freni delle due jeep, l’ufficiale non si mosse, non si voltò. Ma dopo un istante tese il dito verso uno di quei ragazzi, e disse: «Tocca a te. Come ti chiami?».

«Oggi tocca a me» disse il ragazzo alzandosi «ma un giorno o l’altro toccherà a lei.» «Come ti chiami?»

«Mi chiamo come mi pare» rispose il ragazzo.

«O che gli rispondi a fare, a quel muso di bischero?» gli disse un suo compagno seduto accanto a lui.

«Gli rispondo per insegnargli l’educazione, a quel coso» rispose il ragazzo, asciugandosi col dorso della mano la fronte madida di sudore. Era pallido, e gli tremavan le labbra. Ma rideva con aria spavalda, guardando fisso l’ufficiale partigiano. L’ufficiale abbassò la testa e si mise a giocherellare con una matita.

A un tratto i ragazzi presero a parlar fra di loro ridendo. Parlavano con l’accento popolano di San Frediano, di Santa Croce, di Palazzolo.

«E quei bighelloni che stanno a guardare? O non hanno mai visto ammazzare un cristiano?»

«E come si divertono, quei mammalucchi!»

«Li vorrei vedere al nostro posto, icché farebbero, quei finocchiacci!»

«Scommetto che si butterebbero in ginocchio!»

«Li sentiresti strillar come maiali, poverini!»

I ragazzi ridevano, pallidissimi, fissando le mani dell’ufficiale partigiano.

«Guardalo bellino, con quel fazzoletto rosso al collo!»

«O chi gli è?»

«O chi gli ha da essere? Gli è Garibaldi!»

«Quel che mi dispiace» disse il ragazzo, in piedi sullo scalino «gli è d’essere ammazzato da quei bucaioli!»

«’Un la far tanto lunga, moccicone!» gridò uno dalla folla.

«Se l’ha furia, la venga lei al mi’ posto» ribatté il ragazzo ficcandosi le mani in tasca. L’ufficiale partigiano alzò la testa, e disse: «Fa’ presto. Non mi far perder tempo. Tocca a te». «Se gli è per non farle perdere tempo» disse il ragazzo con voce di scherno «mi sbrigo subito.» E scavalcati i compagni andò a mettersi davanti ai partigiani armati di mitra, accanto al mucchio di cadaveri, proprio in mezzo alla pozza di sangue che si allargava sul pavimento di marmo del sagrato.

«Bada di non sporcarti le scarpe!» gli gridò uno dei suoi compagni, e tutti si misero a ridere. In quell’istante il ragazzo gridò: «Viva Mussolini» e cadde crivellato di colpi.

*Estratto da La Pelle

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