Verona 11 gennaio 1944, la morte del Maresciallo d’Italia Emilio De Bono

Alla conclusione del processo iniziato a Castelvecchio di Verona il precedente 8 gennaio 1944 contro coloro che nella notte del 25 luglio dell’anno precedente, con l’approvazione dell’ordine del giorno Grandi decretarono la fine del regime fascista, vennero emesse cinque condanne a morte. Fra coloro che in quella fredda mattina dell’11 gennaio 1944 vennero fucilati, vi era il Maresciallo d’Italia EMILIO DE BONO, nato a Cassano d’Adda, piccolo centro al confine fra il milanese e la bergamasca il 19 marzo 1866.

Allievo del collegio militare di Milano nel 1878 e successivamente della Scuola militare, raggiunse il grado di sergente e nel 1883 quello di sottotenente del 12° reggimento bersaglieri. Volontario nella campagna d’Africa nel 1887-88, presto servizio con i gradi di tenente in Eritrea e al rientro in madrepatria frequentò la Scuola di guerra alla fine del quale, nel 1896, fu tra i prescelti per il corso di abilitazione allo Stato Maggiore, idoneità che otterrà l’anno successivo.

Prestò servizio in diverse unità militari e nel 1907 fu decorato con la croce di cavaliere nell’Ordine della Corona d’Italia e nominato capo di Stato Maggiore della divisione di Novara. Nel 1912 partecipò alla guerra italo-turca con il compito di “impiantare le basi logistiche a Misurata Marina” e fu nuovamente decorato. Si arriva cosi allo scoppio della Grande Guerra, l’Italia inizialmente rimane neutrale ma il 24 maggio 1915 dichiara guerra all’Impero austro-ungarico.

Nel 1915 De Bono con i gradi di colonnello dei bersaglieri è inquadrato nel II corpo d’armata che operava sull’Isonzo, dove ottenne una prima medaglia d’argento al valor militare sul Carso nello stesso anno. Nel 1916 si distinse sempre alla testa di reparti di “fanti piumati” durante la sesta battaglia dell’Isonzo culminata con la presa di Gorizia guadagnandosi la seconda medaglia d’argento e la promozione a maggior-generale (generale di brigata).

Per intercessione del duca d’Aosta, viene nominato comandante della brigata Trapani ma a causa dei contrasti insorti con il generale della divisione, fu destinato sul fronte albanese. Rientrato in Italia all’inizio del 1918, assunse il comando della 38ª Divisione e, nel marzo del 1918, del IX Corpo d’Armata, incaricato della difesa del Monte Grappa. Fu allora che, per galvanizzare le truppe, compose il testo della celebre canzone “Monte Grappa, tu sei la mia patria”, musicata da Antonio Meneghetti.

La vittoriosa resistenza contro gli austro-ungarici nella Battaglia del Solstizio del giugno 1918 gli fruttò la croce di commendatore dell’Ordine Militare di Savoia, per aver respinto un violento attacco austriaco. Promosso Tenente Generale (generale di divisione, ma incaricato di Corpo d’Armata) nell’estate dello stesso anno, ebbe una terza medaglia d’argento al valor militare per il contributo dato alla vittoria finale mediante la difesa del Grappa.

Alla fine della guerra venne nuovamente decorato e nel 1919 ebbe il comando del XXII corpo d’armata con giurisdizione su tutta la Carnia fino al Tarvisio. Collocato in Posizione Ausiliaria nel 1920, non accettando di sentirsi messo da parte, cominciò a interessarsi alla politica e si unì al nascente Partito Nazionale Fascista.  Ottenne così l’incarico di collaborare alla stesura di un Regolamento nella Milizia fascista da affiancare all’esercito regolare.

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Mussolini con i quadrunviri della Marcia su Roma

Regolamento che viene pubblicato nell’ottobre 1922, nello stesso periodo in cui il fascismo prende il potere dopo la “marcia su Roma”. De Bono è uno dei quattro quadrunviro ai quali Mussolini affida il compito di guidare la Marcia stessa, che come sappiamo tutti culmina il 28 ottobre. Nominato dal Sovrano Primo Ministro, Mussolini, nomina De Bono direttore generale della Pubblica Sicurezza, mentre egli si attendeva la ben più prestigiosa nomina a Ministro della guerra. Il 12 gennaio De Bono è nominato Primo Comandante generale della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale.

Il compito affidatogli non è di certo dei più semplici,  portare avanti la normalizzazione del fenomeno squadristico, diventare tutore dell’ordine e risolvere il rapporto difficile tra Milizia ed Esercito regolare. La carica di Capo della Polizia lo coinvolge nel delitto Matteotti il 10 giugno 1924, evento che provocherà la sua rimozione dall’incarico. Per lui sono pronti altri incarichi ma lontano dalla madrepatria, ad attenderlo la “quarta sponda” la Libia italiana.

In Africa settentrionale De Bono nominato Governatore della Libia, giunge il 3 luglio 1924. Per tre anni e mezzo, si occupa di normalizzare l’ordine e nello stesso tempo occupare la regione della Sirtica occidentale, operazione che gli varrà la nomina a Grande Ufficiale dell’Ordine militare Savoia. La colonizzazione si realizza con l’immigrazione massiccia di Italiani, e la creazione di strutture amministrative, postali, telefoniche, di bonifica, sanitarie, strade, scuole.

Particolarmente importante è la sua opera nell’ambito della costruzione di infrastrutture ed edifici che rendono più moderna la Libia. Si costruiscono la Galleria De Bono, il Lungo mare De Bono, la Via De Bono, il Castel De Bono, la Scuola De Bono, si finisce di edificare la Cattedrale, il palazzo del governatore, il real teatro Miramare, la sede della Banca d’Italia, il grande albergo municipale e il nuovo ospedale. Il generale è anche uno dei promotori del Gran Premio di Tripoli prestigiosa gara automobilistica che si svolse nella capitale libica dal 1924 al 1940,

Richiamato in patria alla fine del 1928, De Bono viene nominato prima sottosegretario di Stato al ministero delle Colonie e il 12 settembre 1929, a seguito del rimpasto del governo voluto da Mussolini, è nominato Ministro delle Colonie, carica che manterrà per i successivi sette anni fino al 17 gennaio 1935. Erano gli anni in cui si lavorava alacremente al progetto della guerra contro l’Impero etiope. Alla fine del 1932, il ministro delle Colonie annotava nel suo diario:

“Ho portato a Mussolini il progetto per un’eventuale azione in Abissinia. Gli è piaciuto. Comanderei al caso io. Sarebbe un bel canto dei cigno ! Dovrebbe essere pel 1935;ma io temo che non abbia ben calcolato spesa e conseguenze! Vedremo”

(Realtà illustrata, 10 ott. 1956).

Mussolini, che dal 1933 è anche Ministro della guerra, affida proprio a lui l’incarico di preparare la guerra che porterà alla proclamazione dell’Impero. De Bono nel gennaio 1935 si trasferisce ad Asmara e il 6 aprile viene nominato comandante di tutte le truppe. Dopo le verifiche del caso, il generale lamenta la mancanza di mezzi e l’inadeguatezza degli strumenti militari per l’operazione, ma la guerra si deve fare e Mussolini non accetta scuse.

I giornali del 4 ottobre 1935, annunciano che il giorno precedente centomila soldati italiani in  gran parte appartenenti alla Milizia hanno varcato i confini fra l’Etiopia e i possedimenti italiani in Africa orientale. De Bono con tre corpi di Armata invade l’Etiopia dall’Eritrea dal “fronte nord”, mentre Graziani guida le operazioni dalla Somalia italiana, dal “Fronte sud”. Già il  6 ottobre, le sue truppe occupano Adua, il 15 Axum, la capitale religiosa, il 9 novembre Macallé, mentre Graziani avanza nel sud dell’Impero del Negus. Il 14 dello stesso mese, De Bono ad Adua promulga il bando che metteva fuori legge lo schiavismo nella regione del Tigrè.

A Roma però non sono soddisfatti, l’avanzata procede troppo lentamente, De Bono vede l’ala destra del fronte troppo sbilanciata, se gli Etiopici avessero attaccato in forze, avrebbero potuto sfondare, piombare su Macallè con tutti i suoi depositi, distruggerli ed accerchiare l’armata italiana. Per queste ragioni, ricevuto l’ordine d’occupare l’Amba Alagi, obiettivo legato alla memoria dell’eroica resistenza sostenutavi da Pietro Toselli nel 1895, De Bono telegrafò a Mussolini muovendo parecchie obiezioni.

Ciò determina la fine della sua carriera militare, già il 17 dicembre egli viene destituito e il generale Pietro Badoglio viene nominato nuovo comandante delle operazioni militari in Africa orientale. De Bono viene rimandato in patria, il 16 gennaio 1936 promosso Maresciallo d’Italia e il successivo 3 ottobre 1937, viene insignito dal re dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine supremo della Santissima Annunziata, la massima onorificenza di Casa Savoia.

Nel 1939 mentre svolge anche le funzioni di senatore del Regno, arriva la nomina a ispettore delle Truppe d’Oltremare e allo scoppio della seconda guerra mondiale nel settembre 1939, De Bono denuncia ancora una volta l’impreparazione militare dell’Italia, esprimendo pessimismo sia nei confronti dei vertici del fascismo sia della Monarchia.

Condanna soprattutto l’inadeguatezza della strategia di Mussolini e l’immobilismo del Re, sente inaccettabili l’interferenza del Partito Fascista nelle cose militari e allo stesso modo il progetto di rendere la Milizia non più organismo di volontari, ma a reclutamento di leva. Nel 1943, si verificano i primi massicci scioperi, gli alleati sbarcano il 10 luglio in Sicilia, De Bono intuisce che la crisi militare è irreversibile, il 19 luglio Roma è sottoposta al  primo massiccio bombardamento aereo.

Il 24 luglio dopo molti anni in cui non viene convocato, si riunisce il Gran Consiglio del fascismo. Dino Grandi presenta un Ordine del giorno in cui si chiede che il Re riassuma il comando delle forze Armale, secondo l’articolo lo 5 dello Statuto, incarico affidato  al capo del Governo e quindi a Mussolini all’inizio della guerra. Anche al Maresciallo viene chiesta la sottoscrizione dell’ordine del giorno e questa è per il soldato De Bono l’occasione di difendere l’onore dell’esercito italiano, sconfitto soprattutto a causa dell’inadeguatezza di mezzi e l’impreparazione da lui sempre denunciate.

De Bono e altri 18 consiglieri votano l’ordine del giorno Grandi, che di fatto decreta la caduta del fascismo, con il conseguente tentativo di sganciarsi dall’alleato germanico e di uscita dal conflitto mondiale. La cosa naturalmente non piace ai tedeschi che cominciano ad organizzarsi prevedendo il cambio di fronte da parte italiana. Arrivano i giorni tragici dell’armistizio, le truppe germaniche invadono e occupano senza molta resistenza tutta l’Italia non ancora raggiunta dalle truppe alleate, Mussolini viene liberato il 12 settembre dalla prigionia sul Gran Sasso mentre il vecchio Maresciallo rimane a Roma.

Dopo la liberazione del Duce e la sua visita a Hitler, Mussolini il successivo 18 settembre annuncia la nascita della Repubblica Sociale Italiana, nei territori dell’Italia settentrionale e centrale non ancora raggiunti dalle truppe anglo-americane. Una delle prime priorità del nuovo Fascismo Repubblicano guidato dal fiorentino Alessandro Pavolini è di punire i “traditori” che il 25 luglio causarono la caduta del fascismo. La maggior parte di loro si è messa in salvo, non così De Bono che continua tranquillamente a soggiornare a Roma, convinto che Mussolini non gli farà mai del male.

Processo di Verona
I sei imputati presenti al processo di Verona: De Bono (con le mani sul viso), Carlo Pareschi, Galeazzo Ciano, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Tullio Cianetti. (Fotografia originale)

Proprio  nella capitale, il vecchio maresciallo viene tratto in arresto, il 4 ottobre 1943 dalle truppe della neonata Repubblica Sociale Italiana mentre passeggiava in bicicletta e confinato nella sua residenza di Cassano d’Adda in attesa di essere processato. Il 3 gennaio 1944 De Bono è trasferito a Verona, per essere sottoposto al processo insieme ad altri cinque imputati, Carlo Pareschi, Galeazzo Ciano, Luciano Gottardi, Giovanni Marinelli e Tullio Cianetti, pur rimanendo isolato dagli altri.

Il processo, il cui esito è scontato,si concluderà in soli due giorni con cinque condanne a morte per alto tradimento e una condanna a 30 anni di carcere. Fra i condannati a morte vi è anche De Bono, che stanco e malato, commentò così la propria condanna a morte:

“Mi fregate di poco, ho settantotto anni”

La sentenza viene immediatamente eseguita la mattina dell’11 gennaio e il 25 successivo il corpo del Maresciallo d’Italia Emilio De Bono, viene sepolto nella sua Cassano d’Adda. Come da disposizioni testamentarie, la lapide che lo ricorda nel locale cimitero così recita:

” Il Maresciallo d’Italia Emilio De Bono è qui sepolto Fu e volle essere soprattutto un soldato.

È nato a Cassano d’Adda il 19 Marzo 1866 – È morto a Verona l’11 Gennaio 1944.”

Tomba Emilio De Bono.jpg

A De Bono sono attribuite le ultime parole

“Perdonate lo sconforto d’un soldato offeso in ciò che gli è più caro, l’onore”. È stato un soldato prestato alla politica e da essa drammaticamente deluso.

Grazie per aver letto il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

3 pensieri riguardo “Verona 11 gennaio 1944, la morte del Maresciallo d’Italia Emilio De Bono

  1. Mio padre, Domenico Gamberini, bersagliere decorato nella battaglia della Trincea delle Frasche, nella sua lunga vita di agricoltore, lo ha sempre chiamato con affetto “il mio colonnello”. Quelle fucilazioni di Verona, di cui De Bono fu vittima, rientrano negli orrori del Fascismo.

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