Fronte russo 12 gennaio 1943, attacco al Corpo d’Armata Alpino

Nei nostri precedenti post abbiamo analizzato l’operazione Piccolo Saturno, la seconda fase dell’offensiva invernale dell’Armata Rossa nel 1942-43, che coinvolse due dei tre corpi di armata dell’8ª Armata italiana (o ARMIR). Il 15 dicembre, con un potenziale d’urto sei volte superiore a quello delle nostre divisioni i sovietici, sfondarono il fronte tenuto dal II Corpo d’Armata del generale Zanghieri e del XXXV (ex CSIR) del generale Zingalese e dilagarono nelle nostre retrovie.

Le divisioni Pasubio, Torino, Celere e Sforzesca accerchiate, dovettero sganciarsi dalle posizioni sul Don, iniziando una terribile ritirata che, su un terreno ormai completamente in mano al nemico, le avrebbe in gran parte annientate con una perdita di circa 55.000 uomini tra Caduti e prigionieri. Mentre le Divisioni della Fanteria si stavano ritirando, il Corpo d’Armata Alpino ricevette l’ordine di rimanere sulle posizioni a difesa del Don.

Il 12 gennaio 1943, dopo l’operazione Urano la grande offensiva di accerchiamento sferrata dall’Armata Rossa per intrappolare le forze della Wehrmacht impegnate nella regione di Stalingrado e la sopra citata Piccolo Saturno, scattava la terza fase, quella denominata dalla storiografia sovietica offensiva Ostrogožsk-Rossoš’. Due giorni prima il 10 l’Armata Rossa aveva lanciato l’operazione Anello, la fase finale che portò alla distruzione della 6ª  armata tedesca accerchiata a Stalingrado.

Ricordiamo prima di proseguire che la storiografia italiana raggruppa le due fasi dell’offensiva sovietica che videro coinvolte le nostre truppe nella “seconda battaglia difensiva del Don” combattuta dall’11 dicembre 1942 e conclusa il 31 gennaio 1943, dopo l’ultima battaglia sostenuta della Divisione alpina Tridentina il 26 gennaio, con lo sfondamento dell’accerchiamento russo a Nikolajewka.

Dopo le prime due violente fasi appena citate, i comandi dell’Asse soprattutto quelli ungheresi ed italiani ritenevano che i sovietici avessero esaurito le risorse offensive ed erano quindi fiduciosi in una tregua invernale in quel settore. D’altro canto il comando del Gruppo d’armate B del generale Maximilian von Weichs apparentemente cosciente del pericolo, era in ogni caso nell’impossibilità di farvi fronte per mancanza di riserve.

Il settore del Don coinvolto in questa fase, compreso tra la regione a sud di Voronež e quella a sud di Kantemirovka, era difeso a nord dalla poco efficiente 2ª Armata ungherese del generale Jany, schierata lungo il Don con nove deboli divisioni di fanteria e la mediocre riserva della 1ª Divisione corazzata ungherese dotata di un centinaio di carri armati M38 di origine ceca e qualche Panzer IV germanico con cannone corto.

Alle truppe ungheresi seguivano più a sud, sempre appoggiate sul Don, le forze italiane del Corpo d’Armata Alpino del generale Gabriele Nasci che allineava la 2ª Divisione alpina “Tridentina”,  la 4ª Divisione alpina “Cuneense” e la 156ª Divisione fanteria “Vicenza” di scarsa capacità, in quanto essendo stata inviata sul fronte russo come divisione di occupazione era sprovvista del reggimento di artiglieria.

Da Novaja Kalitva era schierato il 24º Panzerkorps del generale Martin Wandel con due divisioni di fanteria germaniche, la 385ª e la 387ª, il gruppo Waffen-SS Fegelein, fresco di conferimento della Croce di Cavaliere con Fronde di Quercia dell’Ordine della Croce di Ferro e la 3ª Divisione alpina “Julia”. In riserva quel che rimaneva della 27. Panzer-Division, che poteva allineare solo qualche decina di mezzi corazzati.

A Starobelsk stazionava, a copertura del comando dell’ARMIR, la 19. Panzer-Division anch’essa molto sfornita di mezzi. Si trattava nel complesso di uno schieramento poco solido, con scarse riserve mobili e già minacciato sulla sinistra e anche sulla destra nel settore ungherese, dove i sovietici disponevano della importante testa di ponte a sud del Don di Storozevoe. In totale di trattata di un complesso di 260.000 soldati (di cui circa 63.000 italiani) 300 mezzi corazzati e circa 900 cannoni.

Il piano sovietico prevedeva un attacco sui due lati con successiva manovra a tenaglia convergente su Alekseevka al fine di accerchiare le forze dell’Asse. A nord dalla testa di ponte di Storozevoe avrebbe attaccato la 40ª Armata del generale Moskalenko, protetta sulla destra dal 4º Corpo corazzato; al centro il 18º Corpo avrebbe inscenato un attacco minore dalla piccola testa di ponte di Shuche. La massa principale della 3ª Armata corazzata del generale Rybalko, avrebbe schiacciato sulla sinistra il 24. Panzerkorps e puntato direttamente su Rossoš’, sede del Quartier generale del Corpo alpino italiano e su Alekseevka per ricongiungersi con la 40ª Armata proveniente da nord.

Sulla sinistra il 7º Corpo di cavalleria e una parte della 6ª Armata sovietica (fronte di Vatutin) avrebbero coperto i carri armati del generale Rybalko, avanzando in direzione di Valujki. A causa delle difficoltà di spostamento e delle intemperie invernali, l’attacco subì un ultimo rinvio: alla fine il 4º Corpo corazzato non riuscì a giungere in tempo, mentre la 3ª Armata corazzata, spostata con grandi difficoltà dalla lontana regione di Tula, sarebbe entrata in campo con solo una parte delle sue forze.

Per mantenere la sorpresa, i generali Žukov, Vasilevskij e Golikov non attesero oltre: il 14 gennaio sarebbe partito l’attacco principale, mentre fin dal 12 gennaio il generale Moskalenko avrebbe iniziato l’assalto nel suo settore settentrionale. L’attacco ebbe immediatamente un grande successo; in particolare nel settore ungherese, i potenti concentramenti d’artiglieria sovietica schiacciarono le difese sia a Storozevoe sia a Šuče, provocando il rapido crollo dell’armata ungherese.

Le colonne sovietiche proseguirono subito in profondità verso Ostrogožsk e Alekseevka per accerchiare in gruppi separati le divisioni ungherese già in rotta; l’intervento del “Gruppo Kramer”, formazione costituita con la 1ª Divisione corazzata ungherese e la 26ª Divisione fanteria tedesca, non ottenne alcun risultato e l’avanzata sovietica continuò incontenibile. Di lì a poco sarebbero stati coinvolti nella terribile battaglia anche i settori tenuti dai nostri alpini, ma l’argomento sarà trattato in un successivo post.

Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

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