16 giugno 1942, si chiude con una schiacciante vittoria italo-tedesca la battaglia di mezzo giugno

Nel giugno del 1942, la lunga ed estenuante battaglia per il controllo del Mediterraneo centrale e di conseguenza delle rotte per il rifornimento delle truppe che combattevano in Africa settentrionale, era in pieno svolgimento. La battaglia dei convogli assorbiva ormai quasi completamente i reparti della Regia Marina e molti della Regia Aeronautica, ma anche la Gran Bretagna era duramente impegnata sia per cercare di interrompere il traffico italiano con le sue squadre navali di Alessandria e Gibilterra e la base di Malta, vera spina nel fianco dello schieramento dell’Asse, ma anche nelle operazioni che dovevano tenere in vita la stessa Malta, dall’inizio del conflitto costantemente sotto assedio da parte dei reparti della Regia Aeronautica e della Luftwaffe.

L’Ammiragliato britannico faceva pervenire risorse e rifornimenti sulla martoriata isola tramite i velivoli, che trasportati dalle portaerei, venivano lanciati verso gli aeroporti dell’isola, una volta arrivati alla massima distanza possibile, mentre piccole quantità di materiali vitali come munizioni, medicinali e viveri erano recapitati da mercantili veloci oppure da unità militari o sommergibili impiegati come mezzi da trasporto.

Tuttavia i rifornimenti che potevano arrivare per via aerea o con sparuti mercantili non erano sufficienti per garantire la sopravvivenza della popolazione civile dell’isola e mantenere alta la minaccia che le forze ivi stanziate, potevano portare contro le linee di rifornimento dell’Asse. Il metodo più efficace era quello dei grandi convogli navali, composti dal maggior numero possibile di mercantili; convogli che era naturalmente necessario proteggere con adeguate scorte di naviglio da guerra e forze aeree.

Nel marzo del 1942 precisamente tra il 22 e il 26, durante la seconda battaglia della Sirte, un convoglio britannico, abbondantemente scortato, aveva visto affondare dagli attacchi delle forze aeree dell’Asse tutti e quattro i mercantili che lo componevano, due dei quali all’interno del porto stesso di La Valletta poco dopo esservi approdati, per cui solo 5.000 delle 26.000 tonnellate di rifornimenti trasportati avevano potuto essere recapitate. Sull’isola continuava ad arrivare circa il 10% di quanto veniva inviato, e ciò aveva ripercussioni sulla resistenza della guarnigione: viveri e munizioni scarseggiavano, e il morale era molto basso.

A metà del maggio del 1942, dopo che un preoccupante rapporto del nuovo governatore di Malta, Lord Gort, comunicava che l’isola disponeva di viveri per soli tre mesi, il viceammiraglio Henry Harwood, comandante della Mediterranean Fleet (Flotta del Mediterraneo) di base ad Alessandria d’Egitto, decise di organizzare una nuova massiccia e decisiva operazione di rifornimento. Per fare in modo che almeno una parte del carico potesse giungere a destinazione, questa volta i convogli sarebbero stati due: il primo (“Harpoon“) sarebbe partito da Gibilterra mentre l’altro (“Vigorous“), da Alessandria d’Egitto.

Secondo l’ammiragliato di Sua Maestà britannica, trovandosi di fronte a due convogli contemporaneamente, le forze dell’Asse si sarebbero divise, consentendo quindi ad ogni convoglio di affrontare una opposizione accettabile e di contenere le perdite, oppure si sarebbero concentrate solo su uno di essi, consentendo all’altro di arrivare alla meta indisturbato. In effetti la Regia Marina italiana in quei giorni, dopo due anni di intensi combattimenti e di pesanti perdite, non aveva una grandissima capacità operativa, per l’indisponibilità di molte delle sue unità maggiori.

Delle sette navi da battaglia sulla carta disponibili, il Conte di Cavour era a Trieste per lavori di riparazione, il Duilio era a Messina in addestramento, il Giulio Cesare aveva effettuato la sua ultima missione operativa con la scorta al convoglio M43 durante il gennaio 1942, l’Andrea Doria dal marzo 1942 era fermo a Taranto per contribuire alla difesa antiaerea della base, mentre la nuovissima corazzata Roma era ancora in approntamento. In pratica erano disponibili le sole due unità più moderne, la Vittorio Veneto e la Littorio, da oltre 35 mila tonnellate.

Non certo migliore era la situazione degli incrociatori pesanti, tutta la classe Zara, ad eccezione del Gorizia, era andata perduta durante la dura sconfitta subita della Regia Marina nel marzo 1941 durante la battaglia di Capo Matapan, mentre il Bolzano era rimasto a Palermo nel disappunto dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara e il Trieste era ancora in riparazione per i danni provocati da un siluro ricevuto il 21 novembre 1941 dal sommergibile HMS Utmost.

Dei dodici incrociatori leggeri della classe Condottieri con la quale la Regia Marina aveva iniziato il conflitto, cinque erano stati affondati, uno, il Luigi Cadorna, era stato dichiarato inadatto ai compiti di squadra per la scarsa protezione, il Duca degli Abruzzi era a Navarino per la protezione ai convogli come il Muzio Attendolo tra Napoli e Bengasi o verso l’Albania; inoltre i nuovi incrociatori leggeri della classe Capitani Romani erano ancora in allestimento, con solo l’Attilio Regolo da poco entrato in servizio era ancora impegnato in esercitazioni. 

La principale forza da battaglia, al comando dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino, era dislocata a Taranto poteva contare sulle due navi da battaglia sopra citate, su due incrociatori pesanti, due incrociatori leggeri e dodici cacciatorpediniere. In Sardegna e precisamente a Cagliari era invece dislocata la VII divisione incrociatori al comando dell’ammiraglio di divisione Alberto Da Zara, con due incrociatori leggeri e sette cacciatorpediniere, a disposizione per operazioni nel Mediterraneo occidentale.

Unità leggere come i MAS e le motosiluranti e i sommergibili potevano essere disposti come sbarramenti mobili lungo il Canale di Sicilia. Nella battaglia che andiamo a raccontare, Regia Aeronautica e X Fliegerkorps germanico dislocate in Sicilia, in Sardegna e a Creta, riuscirono per la prima volta dall’inizio del conflitto ad operare in perfetta coordinazione con le unità della Regia Marina e come vedremo alla fine dell’articolo, la prima volta della cooperazione dei nostri reparti aeronavali portò a grandi risultati.

Dopo la necessaria premessa per inquadrare il quadro operativo in cui la Royal Navy si apprestava ad organizzare la più grande operazione di rifornimento di Malta mai predisposto, vediamo senza dilungarci troppo per non annoiarvi come si concluse lo scontro noto come battaglia di mezzo giugno o anche come battaglia di Pantelleria. Come appena ricordato il piano britannico prevedeva l’invio simultaneo di due convogli di rifornimenti uno inviato dalla base di Alessandria d’Egitto bse principale della “Mediterranean Fleet” e l’altro da GIbiltera base della “Force H”.

I cinque piroscafi, Troilus, Burdwan, Orari (britannici), Tanimbar (olandese) e Chant (statunitense), assegnati all‘operazione Harpoon e inquadrati nel convoglio WS.19Z salparono dalla Scozia occidentale il 5 giugno, inoltrandosi nell’Atlantico sotto la scorta degli incrociatori Liverpool e Kenya e di dieci cacciatorpediniere; la petroliera Kentucky raggiunse invece per conto proprio Gibilterra il 2 giugno le unità si riunirono a Gibilterra l’11 giugno, dove i mercantili del convoglio, ora rinominato GM4, passarono sotto la responsabilità del capitano di vascello Campbell Hardy, imbarcato sulla Cairo e comandante della scorta ravvicinata che comprendeva anche quattro dragamine.

I due incrociatori giunti dalla Gran Bretagna si unirono invece alla Force H del viceammiraglio Curteis, che si accinse a fornire protezione a distanza al convoglio. Le unità britanniche si inoltrarono quindi nel Mediterraneo, rallentate dalla ridotta velocità che i mercantili potevano sviluppare. La scorta del convoglio, guidata dal capitano di vascello Cecil Campbell Hardy, sarebbe stata costituita dall’incrociatore leggero Cairo, da nove cacciatorpediniere, da quattro dragamine e da sei motocannoniere del tipo Fairmile B.

Passata Gibilterra, il convoglio sarebbe stato scortato a distanza fino all’imboccatura del canale di Sicilia dalla “Force W” del viceammiraglio Alban Curteis, con le portaerei HMS Argus ed HMS Eagle, la nave da battaglia HMS Malaya, gli incrociatori leggeri HMS Kenya (nave ammiraglia), HMS Charybdis e HMS Liverpool oltre a otto cacciatorpediniere. La petroliera Brown Ranger, scortata da due corvette (Force Y), avrebbe provveduto al rifornimento in mare dei cacciatorpediniere di scorta al convoglio.

Il convoglio in partenza da Alessandria d’Egitto risultava invece costituito da ben undici mercantili, tra cargo e petroliere, che dovevano salpare da diversi porti, per poi riunirsi in mare in un unico convoglio, identificato come MW.11. La sezione 11A, con i piroscafi Ajax, City of Edinburgh, City of Lincoln, City of Pretoria ed Elizabeth Bakke sarebbe partita dalla Palestina e precisamente dal porto di Haifa, la sezione 11B con la petroliera Bulkoil e il cargo Potaro si sarebbe mossa da Alessandria mentre la 11C avrebbe preso il mare sempre dall’Egitto, da Porto Said con i piroscafi Aagtekerk, Bhutan, City of Calcutta e Rembrandt.

La scorta, sotto il comando del contrammiraglio Philip Vian, imbarcato sull’incrociatore HMS Cleopatra, poteva contare su otto incrociatori leggeri, 26 cacciatorpediniere (di cui quattro australiani), due dragamine e quattro corvette; al convoglio fu aggregata anche la HMS Centurion, una vecchia corazzata della classe King George V varata nel 1911 che era stata trasformata in nave bersaglio per le esercitazioni d’artiglieria a causa della sua obsolescenza, opportunamente camuffata per farla assomigliare alla nave da battaglia HMS Anson e caricata con ulteriori 2.000 t di rifornimenti.

Come ulteriore appoggio ai due convogli, una dozzina di sommergibili britannici furono dislocati nel mar Ionio e nel Mediterraneo centrale con il compito di intercettare eventuali formazioni navali italiane inviate con il compito di attaccare i convogli britannici. Alla protezione dei cargo e all’attacco delle unità nemiche furono destinate anche ampie formazioni di aerei da combattimento dislocate a Malta, in Egitto e in medio oriente.

Vediamo ora distintamente come si svolsero le operazioni dei due convogli, partendo da quello transitato da Gibilterra. L’11 giugno il Servizio informazioni militare intercettò un messaggio dell’addetto militare statunitense al Cairo, il colonnello Bonner Fellers, che decrittò perché era in possesso del codice Black Code dove si dava notizia di due convogli alleati verso Malta. Ricordiamo che il prezioso codice statunitense era stato sottratto all’ambasciata americana di Roma da parte di due carabinieri del SIM diretto dal colonnello Cesare Amè, nel settembre 1941, quando gli Stati Uniti non erano ancora formalmente entrati in guerra.

Nelle prime ore del 14 giugno le unità britanniche entrarono nel raggio d’azione dei sommergibili italiani che lo attaccarono senza risultati prima con il sommergibile Uarsciek e successivamente con il Giada. A partire dalle 09:00 del 14 giugno la formazione britannica iniziò a subire anche gli attacchi aerei dei velivoli dell’Asse di base in Sardegna. Il primo attacco portato da otto Fiat C.R.42 accompagnati da due Savoia-Marchetti S.M.79 del 36º stormo, fini senza nessun bersaglio colpito e con i nostri velivoli falcidiati dai caccia Fulmar decollati dalla portaerei HMS Argus .

Alle 10:00 giunsero quindici bombardieri Savoia-Marchetti S.M.84, sempre del 36º stormo, ma la reazione nemica ne abbatté sei, tra cui quello del colonnello Giovanni Farina. Subito dopo, sopraggiunsero altri aerosiluranti S.M.79, bombardieri CANT Z.1007 e Junkers Ju 88: la prima ondata contava 18 bombardieri, 32 aerosiluranti e una scorta di caccia. Il piroscafo Tanimbar, da 8.200 tonnellate di stazza e 13.000 t di carico, fu centrato con un siluro da un SM.79 del 130º gruppo spezzandosi immediatamente in due ed affondando, mentre l’incrociatore HMS Liverpool incassò un siluro sul lato di tribordo, probabilmente lanciato dall’aereo del pilota Arduino Buri.

Dopo aver imbarcato un gran quantitativo d’acqua che provocò il blocco del timone e uno sbandamento di 7°; con una velocità ridotta a 4 nodi l’incrociatore fu preso a rimorchio dal cacciatorpediniere HMS Antelope, e lentamente rientrò cercò a Gibilterra sotto la protezione di un secondo caccia, il HMS Westcott, dove giunse il 17 giugno. Alle 18:00 passarono all’azione 92 aerei della Regia Aeronautica e 48 della Luftwaffe, partiti dalla Sicilia, che avvistarono la flotta britannica sopra l’isola tunisina di La Galite verso le 19:00.

Mentre i Reggiane rivendicavano undici Sea Hurricane con la perdita di un solo velivolo, gli S.M.79 del 132º gruppo autonomo aerosiluranti, sganciarono i loro siluri , che però non esplosero perché, come venne poi accertato, provenienti da una partita di ordigni sabotati usciti dal silurificio di Baia. Al tramonto del 14 giugno, con il convoglio ormai giunto all’imboccatura del Canale di Sicilia, la Force H invertì la rotta e diresse per Gibilterra: l’alto comando britannico riteneva che la marina italiana avrebbe impiegato solo forze leggere facilmente contrastabili dal Cairo e dai cacciatorpediniere della scorta ravvicinata, senza quindi la necessità di rischiare ulteriormente le principali unità da battaglia.

Il posamine Welshman, capace di una velocità molto più elevata dei mercantili, si separò dal convoglio alle 20:00 e proseguì in solitaria per Malta: giunto a La Valletta, consegnò il suo carico e ripartì alle prime luci del 15 giugno, onde fornire protezione contraerea al resto del convoglio in arrivo. Alla fine della giornata del 14 in più ondate successive circa 250 aerei italiani e 48 tedeschi, avevano violentemente portato numerosi attacchi convoglio britannico.

Le previsioni dei comandi britannici sul fatto che la Marina italiana avrebbe impiegato solo forze leggere nel canale, non collimavano tuttavia con i piani operativi di Supermarina il comando suprema della Marina italiana che alle 21:30 dello stesso 14 giugno aveva ordinato dalla VII divisione incrociatori dell’ammiraglio Alberto Da Zara di lasciare Palermo.

Alla Divisione con due incrociatori Incrociatori leggeri Eugenio di Savoia (ammiraglia) e  Raimondo Montecuccoli e cinque cacciatorpediniere (Alfredo Oriani, Ascari, Premuda, Ugolino Vivaldi e Lanzerotto Malocello), venne ordinato di dirigere a tutta forza verso il tratto di mare a sud di Pantelleria, dove si presumeva si sarebbe trovato il convoglio britannico alle prime luci dell’alba. Supermarina dislocò anche tre squadriglie di MAS al largo di Capo Bon, ma il mare agitato obbligò le unità a rientrare prima di poter entrare in azione.

Alle 23:15 Campbel Hardy fu informato dell’uscita in mare delle unità di Da Zara, grazie alla decrittazione di un messaggio radio, ma decise di proseguire la missione ritenendo che le unità italiane non si sarebbero spinte in una zona così vicina a Malta, posta entro il raggio dei velivoli di base sull’isola e costellata di campi minati. All’alba del 15 giugno un ricognitore da Malta avvistò le unità di Da Zara, il quale pochi istanti dopo intercettò la Force X di Campbel Hardy nel punto esatto previsto da Supermarina e alle 05:40 gli incrociatori italiani aprirono il fuoco.

Da Zara si dimostrò subito molto deciso e ordinò di aumentare la velocità a 32 nodi e di cercare di tagliare dal davanti la rotta del nemico, facendo fuoco con tutti i pezzi. Visto che il cacciatorpediniere Malocello non riusciva a mantenere la velocità richiesta, l’ammiraglio lo distaccò insieme al Vivaldi ordinandogli di inseguire i piroscafi in fuga. I due cacciatorpediniere diressero verso la zona annebbiata dai britannici, ma furono contrattaccati dalle unità della squadriglia “Blankney”, a cui si unirono brevemente anche quelle della squadriglia “Bedouin”, dando inizio ad un serrato combattimento.

Per oltre mezz’ora le due parti si scambiarono reciprocamente colpi di cannone e salve di siluri serrando sempre più le distanze, finché alle 06:15 il Vivaldi fu colpito nella sala macchine da un proiettile del Matchless, che lo immobilizzò appiccando un incendio; mentre il Malocello gli girava intorno per proteggerlo con una cortina fumogena, il Vivaldi fu avvicinato dalle unità britanniche che gli lanciarono contro i loro siluri da una distanza di 4/5.000 metri, mancandolo.

Il comandante del Vivaldi, capitano di vascello Ignazio Castrogiovanni, ordinò a quello del Malocello, capitano di fregata Mario Leoni, di ritirarsi e abbandonare la nave al suo destino, ma il cacciatorpediniere continuò ad assistere il compagno scambiando colpi con le unità britanniche e stendendo cortine fumogene. La manovra ebbe successo e intorno alle 06:40 Campbel Hardy richiamò le sue unità perché tornassero a proteggere i mercantili.

Nel frattempo le unità maggiori di Da Zara continuavano ad avvicinarsi e alle 06:45, per sottrarsi alla manovra italiana che tendeva a tagliargli la strada, Campbell Hardy ordinò alla sua formazione di invertire la rotta e di nascondersi all’interno delle cortine fumogene. La manovra ebbe successo ma non riusci ad impedire che un colpo da 152 mm dell’Eugenio di Savoia alle 07,40 centrasse il Cairo. Il proiettile penetrò in un locale macchine, ma produsse solo un allagamento perché non esplose. Con le unità di scorta intente a confrontarsi con le unità di Da Zara, i mercantili del convoglio divennero una facile preda per gli aerei dell’Asse.

Poco prima alle 06:30 il piroscafo Chant fu colpito da un bombardiere in picchiata Stuka ed iniziò ad affondare, mentre la petroliera Kentucky fu danneggiata ma riuscì a proseguire; un’ora dopo un secondo attacco centrò nuovamente la Kentucky, immobilizzandola ed appiccandovi un incendio a bordo, obbligando il dragamine HMS Hebe a prenderla a rimorchio. L’arrivo di caccia Spitfire e Beaufighter da Malta consentì di respingere altri attacchi dei velivoli dell’Asse.

Quando erano ormai le 08:00 Da Zara aveva perso il contatto con il nemico, scomparso dietro la nebbia artificiale. Senza informazioni, l’ammiraglio cercò di ipotizzare le mosse del nemico: il combattimento si era spostato a ridosso di un vasto campo minato disposto a sud di Pantelleria, e Da Zara ritenne che i britannici avrebbero cercato di aggirarlo da nord, passando tra l’isola e le mine. Alle 08:14 mosse i due incrociatori mantenendosi ad est del tratto minato, nella speranza di precedere i britannici nella loro corsa verso il varco. Dietro la cortina fumogena, Campbell Hardy stava invece manovrando le sue unità verso sud-est, in direzione della costa tunisina, per portare assistenza ai mercantili colpiti dai raid aerei.

Verso le 09:00 la ricognizione aerea da Malta lo informò che le navi di Da Zara stava stavano dirigendosi verso il varco nord del campo minato di Pantelleria, ed il comandante britannico decise quindi di procedere verso sud mantenendosi lungo la costa tunisina. A metà mattinata alcuni Junkers Ju 88 tedeschi riuscirono a colpire il mercantile Burdwan, obbligando il dragamine HMS Hythe a rimorchiarlo. La velocità del convoglio era ora molto limitata dalle tre navi prese a rimorchio: oltre alla Kentucky ed al Burdwan trainati dai dragamine, anche il cacciatorpediniere Partridge, domati gli incendi a bordo, aveva preso a rimorchio il danneggiato Bedouin.

Campbell Hardy prese quindi la decisione di abbandonare le unità danneggiate e di procedere su Malta alla massima velocità possibile con i due piroscafi superstiti; il cacciatorpediniere Badsworth fu lasciato indietro insieme ai dragamine Hebe ed Hythe con il compito di affondare le unità danneggiate una volta recuperati gli equipaggi, mentre alla coppia Partridge-Bedouin fu ordinato di raggiungere Malta per conto proprio. Per la Kentucky l’affondamento si rivelò più difficile del previsto in quanto la nave era nuovissima come concezione e ben compartimentata. La nave alle 12:00 venne abbandonata e data alle fiamme contro il parere del suo capitano, ma rimase a galla.

Sottoposti a ripetuti attacchi aerei dei velivoli di Malta, tutti senza esito, i due incrociatori della VII Divisione arrivarono al limite nord del campo minato intorno alle 11:00, dove si ricongiunsero con i cacciatorpediniere Oriani ed Ascari in rientro dopo aver scortato il danneggiato Vivaldi a Pantelleria. Da Zara non trovò traccia del nemico e, sempre senza informazioni dalla ricognizione aerea, prese ad incrociare verso sud-ovest sperando di rintracciarlo. Dopo circa un’ora di infruttuosa ricerca le unità italiane furono attirate verso sud da alte colonne di fumo che si alzavano dall’orizzonte: si trattava del fumo sollevato dagli incendi dei mercantili, ormai ridotti a dei relitti.

Con le superstiti unità di Campbell Hardy fuori vista, Da Zara si convinse che il convoglio nemico fosse stato distrutto dagli attacchi aerei italo-tedeschi, e che se qualche superstite vi era ancora si trovava in ritirata verso ovest, oltre Capo Bon. Le unità italiane si dedicarono quindi a finire le navi britanniche, l’ancora intatta Kentucky con le sue 14.500 tonnellate di combustibili costituiva l’unità più importante del convoglio, fu cannoneggiata dal Montecuccoli e dall’Eugenio ed infine colata a picco da un siluro lanciato dall’Oriani.

Il Chant colpito dalle bombe degli Ju. 88, era già affondato; nello stesso tempo il caccia Ascari lanciò due siluri contro il Burdwan, attaccato anche da un S 79 pilotato da Carlo Emanuele Buscaglia. Il cacciatorpediniere Badsworth ed i due dragamine lasciati indietro riuscirono a non farsi notare ed a ricongiungersi più tardi al convoglio, anche perché l’attenzione degli italiani fu attratta dalla coppia Partridge-Bedouin. Dopo vari tentativi senza esito di rimettere in funzione l’apparato propulsivo del Bedouin, le due unità avevano invertito la rotta e cercato di rifugiarsi oltre Capo Bon, nella speranza di riguadagnare la rotta per Gibilterra.

Le unità italiane aprirono il fuoco sui britannici intorno alle 14:00, obbligando il Partridge a tagliare i cavi da rimorchio ed a stendere una cortina fumogena intorno all’immobile Bedouin; il tiro degli incrociatori di Da Zara risultò intermittente e poco preciso, anche perché le navi italiane erano sotto attacco, senza esito, da aerosiluranti decollati da Malta. Verso le 14:15 il cacciatorpediniere britannico fu avvicinato da un aerosilurante S.M.79 della 281ª Squadriglia Aerosiluranti, comandata da Carlo Emanuele Buscaglia. Il velivolo pilotato dal sottotenente Aichner portatosi ad 800 metri dalla nave, colpito dal tiro contraereo britannico fu costretto ad ammarare, ma riuscì a lanciare il suo siluro che diede il colpo di grazia al Bedouin, che affonderà nel giro di cinque minuti.

Per molti anni l’affondamento del Bedouin fu attribuito esclusivamente ai cannoni navali italiani e solo nel 1966 l’allora comandante in seconda della nave britannica, dopo essere venuto in contatto con Aichner, confermò la versione del pilota italiano. Per la sua azione il sottotenente pilota Martino Aichner, morto nel dicembre del 1994, sarà decorato nel 1988, ben 46 anni dopo l’azione con la medaglia d’oro al valor militare con la seguente motivazione:

Partecipava, quale capo equipaggio di apparecchio aerosilurante, alla luminosa vittoria dell’Ala d’Italia nei giorni 14 e 15 giugno 1942 nel Mediterraneo. Incurante della violenta reazione contraerea che gli danneggiava gravemente l’apparecchio, portava decisamente l’attacco ad un cacciatorpediniere nemico, che colpiva con grande precisione, affondandolo. Nuovamente colpito dalla reazione avversaria, ammarava con grande perizia, rendendo possibile il salvataggio del personale di bordo. Cielo del Mediterraneo, 14 – 15 giugno 1942

Data del conferimento: 07/04/1988

Rimasto solo, il Partridge riuscì a defilarsi dal luogo dello scontro procedendo alla massima velocità, complice anche il fatto che le unità italiane, ancora sottoposte ad attacchi aerei, non riuscirono ad inseguirlo. Nonostante altri attacchi aerei che provocarono danni all’apparato propulsivo, l’unità riuscì a raggiungere Gibilterra il 17 giugno. Anche il dragamine Hebe venne colpito da un tiro da lunghissima distanza del Montecuccoli e gravemente danneggiato, al punto che la situazione fu giudicata talmente grave che il comandante buttò a mare i libri e le notizie riservate in previsione del colpo finale, che però non arrivò.

Alle 14:20 Da Zara ricevette ordine da Supermarina di rientrare a Trapani entro le 21:00: senza più nemici in vista e con le sue unità a corto di munizioni, l’ammiraglio diede quindi ordine di abbandonare la zona dello scontro. I violenti e ripetuti attacchi delle unità di Da Zara, avevano sconvolto il piano originario britannico che prevedeva che il convoglio sarebbe giunto in vista di Malta nel tardo pomeriggio, in modo che i dragamine potessero aprire rotte sicure sfruttando le ultime ore di luce del giorno e che le operazioni di scarico potessero avvenire di notte, al riparo da attacchi aerei sul porto.

Il ritardo accumulato obbligò le unità britanniche ad avvicinarsi a Malta quando ormai era buio: anche il Cairo ed i cacciatorpediniere di scorta, che secondo l’intenzione originaria una volta arrivati in vista di Malta dovevano subito ripartire per Gibilterra, furono invece obbligati ad entrare nel porto per rimpinguare le scorte di munizioni. Le unità britanniche finirono così in un campo minato italiano posto all’imboccatura del porto: il piroscafo Orari urtò una mina ad appena 360 metri dal frangiflutti del porto, riuscendo a rimanere a galla ma perdendo una parte del carico di carbone, mentre il cacciatorpediniere polacco Kujawiak dopo l’urto con una mina affondò prima che le altre unità potessero prenderlo a rimorchio, con la perdita di 25 membri dell’equipaggio.

I cacciatorpediniere Badsworth e Matchless ed il dragamine Hebe urtarono delle mine, ma riuscirono a raggiungere il porto nonostante i gravi danni e furono successivamente riparati. Anche il piccolo drifter (peschereccio armato) Justified, uscito da Malta incontro al convoglio, incappò nel campo minato ed affondò. Riforniti di munizioni, il Cairo ed i quattro cacciatorpediniere ancora illesi salparono la sera del 16 e nonostante alcuni attacchi aerei delle forze dell’Asse riuscirono a superare indenni il Canale di Sicilia, ricongiungendosi la sera del 17 al largo della costa algerina con gli incrociatori Kenya e Charybdis, che li scortarono a Gibilterra dove arrivarono il giorno dopo.

Il capitano di vascello Campbell Hardy venne in seguito insignito per la seconda volta del Distinguished Service Order per il suo comportamento tenuto durante l’operazione. A Malta fu fatto ogni sforzo per evitare che gli unici due mercantili faticosamente approdati (il Troilus e il già citato Orari) venissero affondati nel porto: mobilitando tutti i manovali disponibili ed impiegando anche personale militare, le operazioni di scarico furono completate in cinque giorni e i rifornimenti sparpagliati tra più magazzini diversi.

Se pesantissime furono le perdite del convoglio partito da Gibilterra non meglio andò a quello partito da Alessandria che pesantemente attaccato dalle forze della Regia Marina comandate dall’ammiraglio Angelo Iachino e dalle forze aeree italo-tedesche, sarà costretto a fare precipitosamente rientro verso Alessandria. Il convoglio composto da ben 11 mercantili partito diviso in tre sezioni, la sera del 12 venne attaccato da una formazione di bombardieri Ju 88 tedeschi. Il piroscafo City of Calcutta, gravemente danneggiato, venne costretti a rifugiarsi a Tobruch, sotto la scorta dei cacciatorpediniere HMS Exmoor e HMS Croome.

Nel corso del giorno successivo il convoglio subì attacchi aerei mentre imboccava quello che glim inglesi avevano sopranominato Bomb Alley (“Vicolo delle bombe”), il tratto di mare a sud di Creta posto entro il raggio dei bombardieri dell’Asse. Il cargo Elizabeth Bakke subì danni non gravi ma, poiché non riusciva più a tenere la velocità del resto del convoglio, gli fu ordinato di rientrare ad Alessandria.

La mattina del 14 il convoglio subì ulteriori perdite: il piroscafo Aagtekirk si dimostrò incapace di mantenere il passo con le altre unità e ricevette ordine di dirigere su Tobruch sotto la scorta del cacciatorpediniere HMS Tetcott e della corvetta Primula, ma verso le 08:00 fu raggiunto dai bombardieri tedeschi ed incendiato, finendo arenato davanti Tobruch dove poi affondò. Nel pomeriggio aerei dell’Asse colpirono il cargo Potaro che tuttavia fu in grado di proseguire mentre il Bhutan centrato dal CANT Z.1007 del capitano Reghini e, gravemente danneggiato, affondò.

Mentre ancora erano in corso gli attacchi aerei, verso le 18:45 Vian ricevette un’altra pessima notizia: ricognitori aerei segnalarono l’uscita in mare della squadra da battaglia italiana da Taranto, diretta a tagliare la rotta del convoglio britannico. Agli ordini dell’ammiraglio di squadra Angelo Iachino erano salpate le navi da battaglia Littorio e Vittorio Veneto, gli incrociatori pesanti Trento e Gorizia e gli incrociatori leggeri Giuseppe Garibaldi ed Emanuele Filiberto Duca d’Aosta, scortati da dodici cacciatorpediniere.

La possente squadra italiana fu avvistata dai ricognitori aerei britannici poco dopo la sua partenza, e costantemente seguita per tutto il suo tragitto. Poco prima dell’alba del 15 giugno arrivò il primo attacco dei velivoli di base a Malta: nove aerosiluranti Bristol Beaufort attaccarono verso le 05:15 la squadra degli incrociatori italiani, che navigava in testa alla formazione Il Gorizia e Garibaldi evitarono i siluri a loro diretti con una serie di violente accostate, ma l’incrociatore Trento fu colpito in pieno sul lato di dritta da un aerosilurante che era riuscito a portarsi a soli 200 metri dallo scafo.

Il siluro incassato dal Trento aprì un vasto squarcio nello scafo provocando l’allagamento del locale caldaie di prua ed un incendio a bordo, mentre le infiltrazioni di acqua di mare raggiunsero anche il locale caldaie di poppa provocandone lo spegnimento; completamente immobilizzato il Trento fu quindi lasciato indietro da Iachino con la scorta dei tre cacciatorpediniere Antonio Pigafetta, Saetta e Camicia Nera. Intorno alle 09:00 l’incendio a bordo fu domato ed iniziarono le operazioni per rimorchiare l’unita presso le nostre basi.

L’alta colonna di fumo sollevata dall’incendio aveva però richiamato l’attenzione di tre sommergibili britannici che incrociavano nello Ionio. L’HMS P35, reduce poche ore prima da un fallito attacco contro la corazzata Littorio; alle 09:10 lanciò due siluri contro l’incrociatore immobile, colpendolo a prua sotto la seconda torre dei cannoni e provocando l’esplosione di un deposito delle munizioni. La nave si inclinò a sinistra ed affondò rapidamente di prua, mentre i tre cacciatorpediniere cercavano inutilmente di attaccare il sommergibile britannico; dei 1.151 membri dell’equipaggio, 602 furono recuperati dalle unità italiane, molti dei quali feriti.

Il comandante del Trento capitano di vascello Stanislao Esposito e il comandante in 2º capitano di fregata Carlo Cacherano d’Osasco, periti entrambi nell’affondamento, furono decorati con una medaglia d’oro al valor militare alla memoria il primo e una croce di guerra al valor militare il secondo. La motivazione della Medaglia d’Oro all’ufficiale avellinese cosi recitava:

«Ufficiale superiore di elevate qualità professionali e militari affermava, quale comandante di squadriglia di Ct. in numerose, ardue missioni di scorta, in acque costantemente insidiate dai mezzi aeronavali nemici, alte doti di ardimento, perizia e coraggio. Al comando di un incrociatore partecipava con una formazione navale ad una missione bellica di particolare importanza durante la quale il nemico, benché forte di numero e di mezzi, era costretto a ripiegare rifiutando il combattimento. Colpita la sua unità dall’offesa di aerosiluranti, conservava ammirevole calma e presenza di spirito e impartiva precise, tempestive disposizioni per impedire il propagarsi di un grave incendio scoppiato in un gruppo di caldaie, prodigandosi, durante lunghe ore, con fervore ed abnegazione per assicurare la parziale efficienza della nave e infondendo nuovo ardore all’entusiastica collaborazione degli ufficiali e dell’equipaggio con la sua alta parola e il suo suggestivo esempio. Mentre al suo posto di comando impartiva gli ordini per rimettere in moto le macchine, in parte ripristinate, ulteriore offesa subacquea colpiva l’unità, provocandone l’immediato affondamento in seguito ad esplosione di un deposito munizioni. Superbo esempio di virtù militari e di prode spirito guerriero, scompariva eroicamente con la sua nave, dividendo con essa l’estrema sorte gloriosa, mentre sul mare già risuonava l’eco della vittoria conseguita sul nemico da altre navi della Patria. Mediterraneo Orientale, 14 – 15 giugno 1942.»
— Regio Decreto 30 novembre 1942

Informato dell’uscita in mare della flotta italiana, Vian decise di invertire temporaneamente la rotta del convoglio in modo da ritardare l’incontro con le unità nemiche, permettendo così ad aerei e sommergibili di ridurne il numero e forse di indurle a ritirarsi. La manovra non sfuggi ai ricognitori notturni dell’Asse e quando alcune unità britanniche si ritrovarono isolate, vennero subito attaccate da un gruppo di motosiluranti tedesche circa 90 miglia a nord-est di Derna.

La S 56 riuscì a piazzare un siluro sull’incrociatore leggero HMS Newcastle che riportò un largo squarcio con gravi danni strutturali ed alle macchine. Due ore dopo un secondo gruppo di motosiluranti attaccò le unità di scorta che attorniavano il danneggiato Newcastle ed il cacciatorpediniere HMS Hasty fu colpito da un siluro della S 55. Il relitto dell’unità fu poi affondato dal cacciatorpediniere HMS Hotspur.

Dopo essere stato informato del siluramento del Trento, verso le 07:00 il contrammiraglio Vian diede ordine al convoglio di tornare sui suoi passi e di dirigere su Malta, pensando che la squadra italiana non si sarebbe esposta ulteriormente; invece Iachino continuò a condurre le sue navi da battaglia incontro alle unità britanniche. Intorno alle 09:00 la squadra italiana fu attaccata per tre volte dagli aerosiluranti britannici e successivamente a una squadriglia di bombardieri B-24 statunitensi che, riuscirono a piazzare un colpo che procurò lievi danni alla Littorio.

Informato dai ricognitori che le nostre unità continuavano a procedere verso le sue navi, alle 09:40 Vian diede nuovamente l’ordine al convoglio di invertire la rotta e di dirigere verso est, onde sottrarsi alle unità nemiche. Se le unità di Iachino erano state più volte attaccate, anche le unità britanniche finirono ben presto nel mirino degli aerei dell’Asse: gli incrociatori HMS Birmingham ed Arethusa furono danneggiati leggermente da colpi caduti nelle vicinanze ma furono in grado di continuare la navigazione.

Verso le 14:00 Iachino ricevette ordine da Supermarina di desistere dall’inseguimento delle unità britanniche, ormai troppo lontane; alle navi italiane fu comunque ordinato di rimanere ad incrociare al largo delle coste occidentali della Grecia, nell’eventualità che i britannici decidessero ancora una volta di invertire la rotta. Le unità di Vian in fase di ritirata erano ripetutamente attaccate dai velivoli dell’Asse: verso le 14:15 il cacciatorpediniere HMS Airedale fu preso di mira da una formazione di bombardieri in picchiata Ju 87 Stuka tedeschi, venendo colpito in pieno da due bombe. Un’altra unita di Sua Maestà britannica andava in fondo al mare, finita da un cacciatorpediniere britannico.

Gli Stuka si accanirono ripetutamente anche contro la finta corazzata Centurion, scambiata per una vera unità da battaglia: la nave incassò una bomba ma fu in grado di proseguire; verso le 17:30 invece quattro S.M.79 italiani attaccarono il cacciatorpediniere australiano HMAS Nestor, causando gravi danni ed obbligando il caccia HMS Javelin a prenderlo a rimorchio. Gli aerei dell’Asse lasciarono la formazione britannica verso le 19:00, e per quell’ora Vian ricevette dal viceammiraglio Harwood ad Alessandria la notizia che le unità italiane avevano rinunciato dall’inseguimento, e che il convoglio poteva riprendere la rotta per Malta.

Vian tuttavia riferì che le sue unità erano a corto di carburante (in particolare i cacciatorpediniere) e soprattutto che le scorte di munizioni erano ridotte al 30% della dotazione: pertanto il comandante britannico decise di riportare le sue superstiti unità in porto. Le unità italiane rimasero ad incrociare inutilmente al largo delle coste greche fino al tramonto, quando Iachino ordinò il rientro a Taranto. Verso le 23:30, una formazione di aerosiluranti britannici lanciò un ultimo attacco contro le navi italiane, riuscendo a colpire la prua del Littorio con un siluro. La corazzata tuttavia riportò pochi danni, e poté rientrare a Taranto senza grossi problemi.

Mentre le unità di Iachini rientravano a Taranto, durante la notte quelle di Vian subivano ulteriori perdite. Verso le 20:00 l’incrociatore leggero HMS Hermione fu colpito sul lato di tribordo da un siluro del sommergibile tedesco U-205 a nord di Sollum, affondando nel giro di venti minuti con la perdita di 87 membri dell’equipaggio. L’ultima perdita britannica fu il cacciatorpediniere Nestor, che come abbiamo visto colpito dagli aerosiluranti italiani, era rimasto molto attardato rispetto al convoglio. Molto appruato a causa della gran quantità di acqua imbarcata; con l’approssimarsi dell’alba, e con troppe miglia ancora da percorrere, l’equipaggio fu evacuato e il cacciatorpediniere fu affondato con le cariche di profondità dal Javelin 115 miglia a nord-est di Tobruch.

La battaglia di mezzo giugno, si era conclusa con un clamoroso successo per le forze dell’Asse. Dei diciassette tra piroscafi e petroliere salpati alla volta di Malta, solo due riuscirono ad arrivare a destinazione, uno dei quali danneggiato: con l’aggiunta del carico arrivato sul posamine Welshman, i rifornimenti così trasportati furono considerati sufficienti ad estendere la resistenza dell’isola di sole otto settimane. La perdita della petroliera Kentucky e delle sue 10.000 t di carburante fu un grave problema per la forza aerea dell’isola, che proprio su questo rifornimento tanto contavano per continuare ad operare efficacemente.

Pesante anche il bilancio delle perdite del naviglio da guerra con la perdita dell’incrociatore leggero Hermione, di cinque cacciatorpediniere (Hasty, Nestor, Airedale, Bedouin e Kujawiak), una motocannoniera ed un drifter. Gli incrociatori Liverpool e Newcastle ed i cacciatorpediniere Partridge, Badsworth e Matchless riportarono gravi danni che li obbligarono a rimanere fuori servizio per diversi mesi, mentre danni più leggeri furono riportati dagli incrociatori Cairo, Arethusa e Birmingham, unitamente ad un dragamine. Si aggiunse poi la perdita di trenta velivoli.

La Regia Marina riportò la perdita dell’incrociatore pesante Trento ed il grave danneggiamento del cacciatorpediniere Vivaldi, insieme ai danni più leggeri patiti dalla nave da battaglia Littorio. I bollettini italiani emessi dopo lo scontro rimarcarono notevolmente la ritirata delle unità di Vian, dipingendola come una fuga davanti alle navi di Iachino. Il successo fu molto sfruttato dalla propaganda italiana, che diede molta risonanza allo scontro anche come forma di riscatto da precedenti insuccessi patiti nel Mediterraneo dalle forze dell’Asse. Le perdite delle forze aeree dell’Asse ammontarono a ventotto velivoli italiani e quattordici o quindici tedeschi.

Pochi giorni dopo la schiacciante vittoria nella battaglia aeronavale, le forze dell’Asse riportavano un altra importante vittoria questa volta sul fronte terrestre e precisamente in Africa settentrionale. Il 21 giugno infatti dopo un lunghissimo assedio, forze italo-tedesche riuscivano a riconquistare la piazzaforte di Tobruch, in mano inglese dal gennaio del 1941. Chi volesse approfondire l’argomento può farlo leggendo il nostro articolo che potete trovare seguendo il link sottostante:

21 giugno 1942, l’Asse conquista la piazzaforte di Tobruch

L’esiguità dei rifornimenti recapitati, che di fatto alleviavano di poco la dura situazione nell’isola, obbligarono il comando britannico a progettare immediatamente una nuova consistente operazione. Già l’11 agosto ebbe inizio l’operazione Pedestal, in pratica una riedizione di Harpoon ma con un numero maggiore di navi. Un grosso convoglio salpato da Gibilterra sotto la nutrita scorta delle unità da guerra della Force H, rinforzata per l’occasione da navi inviate direttamente dal Regno Unito e comprendenti in totale due corazzate, quattro portaerei, tre incrociatori pesanti, quattro leggeri e trentadue cacciatorpediniere, cercò di portare gli agognati rifornimenti all’isola sempre più in difficoltà.

Le unità britanniche furono ripetutamente attaccate da velivoli, sommergibili e motosiluranti dell’Asse, subendo gravi perdite sia tra i mercantili che tra le unità di scorta. La Royal Navy subirà la perdita di due unità veterane della battaglia dei convogli, la portaerei Eagle e l’incrociatore Cairo, ma quella volta per vari motivi fra cui la mancanza di carburante, gli incrociatori italiani non poterono essere decisivi. A Malta riusciranno ad arrivare cinque dei sedici mercantili salpati che recapiteranno un totale 30.000 t di rifornimenti, bastevoli per diversi mesi. Le gravi perdite subite dalle unità da guerra sconsiglieranno tuttavia ai britannici di ripetere simili operazioni finché le operazioni in Nordafrica non avessero mutato la situazione strategica nel Mediterraneo.

Schiacciante Vittoria italo-tedesca nella battaglia aeronavale di Mezzo Agosto

Purtroppo la netta vittoria nella battaglia di mezzo giugno ebbe anche risvolti negativi. Dopo la vittoria a Tobruch, l’invasione di Malta, nota come operazione C3, ampiamente preparata e ormai pronta per essere realizzata nonostante il parere negativo di Mussolini e del Feldmaresciallo Kesserling, responsabile di tutte le forze germaniche nello scacchiere del Mediterraneo sarà relegata in secondo piano. Rommel, comandante dell’Afrikakorps impegnato nell’avanzata in Egitto, riuscì a far prevalere il suo punto di vista, ottenendo da Hitler la concentrazione delle forze nel deserto per sfruttare appieno la caduta di Tobruch e correre alla conquista di Alessandria.

La dea della fortuna in battaglia passa accanto ai condottieri una sola volta…

Come tutti sappiamo seguirono le tre battaglia di El Alamein culminate nella disastrosa sconfitta delle truppe dell’Asse nel corso dell’ultima, combattuta fra il 23 ottobre e il 4 novembre. Nello stesso mese di novembre l’assedio dell’isola di Malta veniva definitivamente rotto, con il successo dell’operazione Stone Age quando un convoglio di rifornimenti riuscì ad arrivare nell’isola senza subire perdite. Le operazioni in Africa settentrionale ormai segnate nell’esito finale, si prolungheranno per l’ostinata resistenza in Tunisia, si chiuderanno il 13 maggio 1943, con la resa della 1^ Armata Italiana del neo promosso Maresciallo d’Italia Giovanni Messe.

La resa in Tunisia, la fine della guerra in Africa

Vogliate scusarci se ci siamo dilungati forse un po’ troppo e comunque più del solito, ma l’episodio era di una certa importanza e soprattutto complesso essendo diviso in due operazioni distinte. Grazie per aver letto il nostro post e con la speranza che vogliate continuare a seguirci, Vi diamo appuntamento al prossimo. Mi piace e commenti e/o suggerimenti su come migliorare l’articolo e il blog in generale saranno molto graditi.

Un pensiero riguardo “16 giugno 1942, si chiude con una schiacciante vittoria italo-tedesca la battaglia di mezzo giugno

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.