Militari italiani internati dopo l’8 settembre ’43: la Germania dovrà risarcirli

Il 9 luglio 2019 è stata depositata presso la prima sezione del Tribunale civile di Brescia, la sentenza che ha condannato la Repubblica federale tedesca a risarcire un gruppo di 33 ex I.M.I. i militari italiani deportati nei lager della Germania nazista dopo l’8 settembre 1943, tutti mantovani, con una cifra che varia da 30 mila a 40 mila euro ciascuno.

Gli Internati Militari Italiani (in tedesco Italienische Militär-Internierte – IMI) è la definizione attribuita dalle autorità tedesche ai soldati italiani catturati, rastrellati e deportati nei territori della Germania nei giorni immediatamente successivi alla proclamazione dell’armistizio dell’Italia, l’8 settembre 1943. Si calcola che in seguito all’armistizio catturarono 1.007.000 militari italiani, su un totale approssimativo di circa 2.000.000 effettivamente sotto le armi.

Di questi, 196.000 scamparono alla deportazione dandosi alla fuga o grazie agli accordi presi al momento della capitolazione di Roma. Dei rimanenti 810.000 circa (di cui 58.000 catturati in Francia, 321.000 in Italia e 430.000 nei Balcani), oltre 13.000 persero la vita causa azioni di siluramento inglesi durante il trasporto dalle isole greche alla terraferma. Altri 94.000, tra cui la quasi totalità delle Camicie Nere della Milizia, decisero subito di accettare l’offerta di passare con i tedeschi.

Le truppe internate furono spregiativamente definite Badoglio-truppen e reputate infide, il tutto unito a  un fondo di razzismo anti-italiano, come testimonia il diario di Goebbels.  Il 20 settembre Hitler interviene d’arbitrio affinché la condizione giuridica degli italiani fosse ridotta da “prigioniero” a “internato”, nonostante l’avvenuta liberazione del Duce del fascismo dalla prigionia su Gran Sasso avvenuta il 12 settembre e la conseguente immediata proclamazione della Repubblica Sociale Italiana, il 23 settembre 1943.

La derubricazione da “prigionieri” a “internati” implicava la sottomissione dei deportati a un regime giuridico non convenzionale secondo gli accordi di Ginevra del 1929, e – sebbene formalmente riconosciuti da altre convenzioni – gli “internati” in realtà venivano a trovarsi in un limbo giuridico legato all’arbitrio totale di Berlino. Infine Hitler, nonostante la personale amicizia con Mussolini, non intendeva rinunciare a quella che si rivelava un’ulteriore arma di ricatto verso l’Italia mussoliniana: in sostanza si trattava di avere in mano 800.000 ostaggi.

Il 20 novembre 1943, infatti, il responsabile tedesco respinge le richieste della Croce Rossa Internazionale di poter assistere gli internati perché essi “non erano considerati prigionieri di guerra”. Come detto sopra poco dopo la cattura soldati e ufficiali vennero posti davanti alla scelta di continuare a combattere nelle file dell’esercito tedesco o nelle file della Repubblica Sociale, in caso contrario, essere inviati in campi di detenzione in Germania. Solo poco più del 10 per cento accettò l’arruolamento.

Al netto delle vittime, dei fuggiaschi e degli aderenti della prima ora, nei campi di concentramento del Terzo Reich vennero deportati circa 710.000 militari italiani con lo status di IMI e 20.000 con quello di prigionieri di guerra. Entro la primavera del 1944, altri 103.000 si dichiararono disponibili a prestare servizio per la Germania o la Repubblica Sociale come combattenti o come ausiliari lavoratori. In totale, quindi 600.000 militari rifiutarono di continuare la guerra al fianco dei tedeschi rimanendo nello status di IMI.

Non è stato stabilito ufficialmente il numero degli IMI deceduti durante la prigionia. Gli studi in proposito stimano cifre che oscillano tra 37 000 e 50 000. Fra le cause dei decessi vi furono, la durezza e pericolosità del lavoro coatto nei lager (circa 10.000 deceduti); le malattie e la malnutrizione, specialmente negli ultimi mesi di guerra (circa 23.000); le esecuzioni capitali all’interno dei campi (circa 4.600); i bombardamenti alleati sulle installazioni dove gli internati lavoravano e sulle città dove prestavano servizio antincendio (2.700).

Tornando all’argomento del nostro post, il giudice ha anche condannato la Repubblica italiana in solido con quella tedesca a pagare oltre 140 mila euro di spese legali. Lo ha annunciato oggi l’avvocato Giulio Arria di Mantova che con il collega Joachim Lau di Firenze, ha seguito la causa per conto degli ‘ex schiavi di Hitler’ che andava avanti dalla fine del 2007 che così ha spiegato:

“Il tribunale di Brescia ha riconosciuto che lo Stato che commette crimini di guerra o contro l’umanità come sono quelli di cui sono stati vittime gli ex Imi, Internati militari italiani, non gode di alcuna immunità. Non c’è, dunque, prescrizione”. La Germania non si era costituita in giudizio perché non riconosceva la giurisdizione dei tribunali italiani su questa materia, “lo ha fatto però lo Stato italiano – dice Arria – e sostenendo le tesi tedesche, come il fatto che non c’erano prove che i nostri assistiti fossero stati deportati nei lager e avesse lavorato come schiavi. Eppure, noi abbiamo portato le prove. Veramente imbarazzante. Nessun governo italiano che si è succeduto fino ad ora dal 2007 ci ha aiutato”.

La sentenza è immediatamente esecutiva, anche se le parti potrebbero fare appello: “La Germania non si è costituita in giudizio e quindi credo che per principio non lo farà – dice Arria -. L’Italia spero che non vada contro i suoi ex soldati. A questo punto, cercheremo di pignorare dei beni dello Stato tedesco che non abbiano fini istituzionali, ma sarà difficile individuarli». Sempre al tribunale civile di Brescia pende la causa di altri ex 48 ex Imi mantovani, curata sempre da Arria a Lau, la cui sentenza viene ritenuta imminente.

Come successo in moltissimi altri casi, con il solito ritardo decennale lo Stato Italiano il 19 novembre 1997 ha istituito la  Medaglia d’oro al valor militare all’ “Internato Ignoto”:

«Militare fatto prigioniero o civile perseguitato per ragioni politiche o razziali, internato in campi di concentramento in condizioni di vita inumane, sottoposto a torture di ogni sorta, a lusinghe per convincerlo a collaborare con il nemico, non cedette mai, non ebbe incertezze, non scese a compromesso alcuno; per rimanere fedele all’onore di militare e di uomo, scelse eroicamente la terribile lenta agonia di fame, di stenti, di inenarrabili sofferenze fisiche e soprattutto morali. Mai vinto e sempre coraggiosamente determinato, non venne meno ai suoi doveri nella consapevolezza che solo così la sua Patria un giorno avrebbe riacquistato la propria dignità di nazione libera. A memoria di tutti gli internati il cui nome si è dissolto, ma il cui valore ancora oggi è esempio di redenzione per l’Italia.»
— 19 novembre 1997

Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

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Un pensiero riguardo “Militari italiani internati dopo l’8 settembre ’43: la Germania dovrà risarcirli

  1. Buon giorno, sono figlio di soldato alpino della divisione Julia internato a Fallinbostel (Germania). So di cosa staate parlando e anche molto bene.
    Desidero essere messo a conoscenza degli sviluppi del caso. Ringrazio.
    Ezio Tasin

    "Mi piace"

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