11 luglio 1943, la battaglia di Gela poteva realmente cambiare la Storia?

Sicilia, 11 luglio 1943 gli americani hanno da poche ore preso terra sulle spiagge intorno a Gela quando la  1ª Divisione di fanteria statunitense viene investita dall’attacco di due divisioni della  6ª Armata italiana. L’attacco è mirato a rioccupare le zone di sbarco e costringere le truppe statunitensi a reimbarcarsi. Vediamo ora nel dettaglio come si sviluppò la battaglia che come ricordato nel nostro titolo, forse poteva cambiare il corso della campagna di Sicilia.

Le due divisioni in oggetto erano la 4ª divisione motorizzata italiana “Livorno” e reparti corazzati della divisione tedesca “Hermann Goering”, unità di elite della Luftwaffe, ma con gli organici  ancora largamente incompleti. La divisione era in corso di ricostituzione dopo la campagna di Tunisia dove aveva lottato strenuamente subendo perdite altissime, meritandosi sul terreno il rispetto da alleati e nemici.

Ora molti di Voi si chiederanno il perché del nostro titolo, come poteva la battaglia intorno a Gela cambiare la Storia della Seconda Guerra Mondiale? Nel post di ieri dedicato allo sbarco abbiamo analizzato come gli Alleati avessero organizzato le operazioni molto minuziosamente e con dovizia di mezzi, consci che un fallimento avrebbe precluso l’operazione a cui gli americani tenevano di più, lo sbarco in Normandia.

La Sicilia rappresentava il banco di prova, e come vedremo fra poco l’operazione fu a un passo dal fallire. Uno dei tre settori prescelto per lo sbarco Alleato sulla Sicilia sud-occidentale fu quello di Gela con una estensione di circa 40 Km., da Punta Due Rocche del Licatese a Punta Braccetto del Ragusano. Fu in questo settore che le truppe americane vennero violentemente contrattaccate nelle zone di sbarco fino al punto che venne dato l’ordine di reimbarco, ma quanto lo sbarco pareva fallito e tutto poteva essere rimesso in discussione intervenne un fattore a ribaltare la situazione… Ma andiamo con ordine.

Alle prime ore del 10 luglio le truppe della 1st Infantry Division americana, avevano cominciato a prendere terra. Intorno alle 8.30 il Gruppo Mobile E del Regio Esercito equipaggiato con carri francesi Renault R35 di preda bellica, avevano impegnato nell’abitato di Gela due battaglioni di rangers, ma era stato bloccati dal tiro di sbarramento dei due incrociatori e due cacciatorpediniere dell’US Navy ancorati al largo della città siciliana, che avevano respinto le fanterie al seguito dei carri.

Prima di proseguire due parole sui carri Renault, carri antiquati ma non troppo arrivati in Italia a seguito dell’armistizio fra le potenze dell’Asse con la Francia duramente sconfitta nell’estate del 1940. Italia e Germania si divisero un imponente quantitativo di materiale di preda bellica e alle nostre forze armate toccarono, fra le altre cose anche 124 carri R35 prodotti dalla Renault.

Plotone Carri R35 schierati in Sicilia gennaio 1943
Plotone Carri R35 schierati in Sicilia gennaio 1943

Si trattava di un carro da 9,8 tonnellate, armato di un cannone semiautomatico in torretta da 37/20 abbinato ad un mitra Chatellerault da 7,5 mm, poteva essere considerato un valido carro leggero di riserva penalizzato solo dalla sua limitata autonomia (140 Km).

Ritroviamo questi mezzi impegnati per la prima volta in combattimento proprio nell’abitato di Gela, dove nel primo giorno di operazioni,  le forze italiane registrarono un numero di perdite elevatissimo. Oltre all’episodio che andremo a raccontare a breve dobbiamo segnalare l’esemplare tenacia dei difensori del CDXXIX battaglione costiero. Il reparto registrò ben 197 tra morti e feriti, cioè il 45 per cento degli effettivi caddero sul campo di battaglia.

A questo punto il generale Guzzoni, decise di utilizzare le forze mobili più vicine alla zona di sbarco, cioè la divisione Livorno italiana e la divisione Hermann Göring tedesca,  per tentare di contrastare più efficacemente lo sbarco e, se possibile, costringere al reimbarco la 1st Infantry Division. Al momento dello sbarco le forze germaniche presenti nella zona erano organizzate in gruppi di combattimento che i tedeschi chiamavano Kampfgruppe.  Erano inoltre presenti sia reparti italiani che tedeschi entrambi dipendenti dal XVI corpo di armata italiano.

La linea di demarcazione delle zone di operazione fra la “Livorno” e la “Hermann Göring” era data dalla strada Gela-Caltagirone (SS 117), la Livorno avrebbe dovuto operare ad ovest della strada, mentre la Göring avrebbe dovuto operare ad est della stessa. La responsabilità della strada era della Göring, allo scopo la Livorno aveva creato due colonne mentre la Göring ne aveva create tre.

I piani del XVI corpo di armata del generale Carlo Rossi, che aveva il suo quadro comando posizionato a Piazza Armerina (Enna), per controllare la zona orientale da est di Cefalù a Gela, erano di far convergere i reparti delle stesse contemporaneamente su Gela, con l’inizio degli attacchi al primo mattino dell’11 luglio e precisamente alle 06.00. Ricordiamo che le forze a disposizione di Guzzoni erano strutturare su due corpi d’armata: il XII Corpo d’armata comandato dal generale Mario Arisio, di stanza a Corleone, che agiva sul versante occidentale dell’isola, da Licata a Cefalù, e appunto il XVI a cui era assegnata la zona orientale.

La colonna di sinistra  della Livorno, puntò direttamente sul centro della città, mentre le colonne della Göring puntarono sul cimitero di Farello. I problemi maggiori li ebbe la colonna centrale, quella dei panzer tedeschi, che causa le dimensioni degli stessi erano notevolmente rallentati dalle difficoltà di manovra dei carri Tigre sia entro Niscemi, sia sulle terrazze degli uliveti delle colline sovrastanti la piana ad est di Gela.

Questo ritardo impedì la ricongiunzione delle forze sul campo di battaglia. Ma prima di continuare la narrazione della battaglia di Gela vogliamo raccontare un episodio raccapricciante venuto alle luce solo nel 2011, cioè a 68 anni dagli eventi.

Uno studioso di storia gelese, Nuccio Mulè, ha trovato posto all’ interno di un faldone dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito italiano, un resoconto scritto dal generale Orazio Mariscalco, comandante della XVIII brigata costiera, la sera del 10 luglio 1943. Egli narrando la cronologia degli avvenimenti delle prime quarantotto ore di scontri nell’area di sbarco della Settima armata Usa tra Licata e Scoglitti scrive:

«…Ore 9,20: il Col. Altini comunica che la 49a btr. si è arresa perché il nemico veniva avanti facendosi coprire dai nostri soldati presi prigionieri…» (Aussme, cartella 2124).

La quarantanovesima batteria costiera italiana, che faceva parte del gruppo di sei unità di artiglieria antisbarco, a difesa del litorale gelese, si arrende, senza sparare un colpo e lo fa per una scelta ben precisa: evitare di colpire i propri commilitoni prigionieri costretti ad avanzare davanti a drappelli di soldati americani e utilizzati come scudi umani.

L’episodio non fu il solo di cui abbiamo notizie, dedicheremo a breve un post sulle stragi perpetrate su militari e civili dalle truppe statunitensi durante la campagna di Sicilia. I fatti di sangue di cui si macchiarono i “liberatori”, erano probabilmente figlie del discorso pronunciato alle truppe alla vigilia dell’operazione Huscky dal loro comandante.

Il 27 giugno 1943, infatti il generale George Smith Patton, della 7ª Armata statunitense,  tenne un rapporto agli ufficiali della 45ª Divisione di fanteria, nel corso del quale diede disposizione di uccidere – senza accettare le loro eventuali offerte di resa – i militari nemici che resistessero ancora quando le fanterie statunitensi fossero giunte a 200 iarde, circa 180 metri, di distanza da essi.

« Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali! »

Per non dilungarci troppo nel post non descriviamo le operazioni passo passo, sarebbe troppo lungo, ma sintetizzeremo la battaglia e la sua conclusione. Come detto i piani del generale Guzzoni prevedevano un contrattacco in forze alle zone di sbarco con orario convenzionale fissato per le 06.00 del giorno 11 luglio. Terminati i trasferimenti le due divisioni erano pronte per sferrare il contrattacco da cui sarebbe dipeso probabilmente l’esito dell’intero sbarco.

L’attacco delle fanterie italiane ebbe successo e la lotta venne portata fin dentro il centro di Gela, e la colonna  di sinistra della “Livorno” dopo aver sfondato la prima linea di difesa americana attacco la seconda, giungendo a soli cinquecento metri dai mezzi da sbarco. Gli americani erano in pratica stati respinti sulle spiagge e sulle stesse si apprestavano a combattere strenuamente per evitare l’onta del reimbarco

Panzer Tigre messo fuori combattimento
Panzer Tiger messo fuori combattimento

Molto efficace fu anche l’azione dei carri Tiger tedeschi che portarono anche’essi lo scontro direttamente sulle spiagge.  Alle ore 11 a 5 ore dall’inizio della controffensiva lanciata da Guzzoni, tutto faceva credere che per gli americani non rimanesse altra strada che tentare il reimbarco.

A quell’ora il  Comando della 6ª Armata italiana intercettò un messaggio in chiaro, attribuito allo stesso Generale Patton, in cui si diceva di sotterrare i materiali sulle spiagge e prepararsi al reimbarco. Gli americani  hanno sempre smentito tale comunicazione radio, che peraltro non trova riscontro nei loro archivi.

A cambiare l’esito della battaglia ci penseranno prima l’aviazione americana che forte del dominio assoluto dei cieli, sopra le zone di sbarco intervenne massicciamente e riusci insieme al fuoco delle unità navali stazionanti al largo. Il successivo intervento dei reparti corazzati statunitensi, bloccò definitivamente lo slancio delle truppe dell’Asse.

Sui fanti della divisione italiana e sui panzer tedeschi, si scatenò un volume di fuoco tremendo, fuoco che oltretutto  che non poteva, per mancanza di mezzi essere controbattuto né da mezzi navali né dalla Regia Aeronautica. Sia la Marina che l’Aeronautica americana agirono praticamente indisturbate. Il 12 luglio l’esito della battaglia era ormai segnato, il sacrificio dei fanti della Livorno e dei reparti gemanici non era servito a cambiare l’esito della dura battaglia.

Dalle ore 2,30 fino alle ore 7,00 del 12 luglio a Monte Castelluccio, i fanti della colonna del  III° battaglione del 34° reggimento fanteria “Livorno” agli ordini del Tenente Colonnello Leonardi subirono un violento attacco dal 26° Gruppo Tattico americano con il risultato della resa dopo quasi il loro annientamento; tra i prigionieri era pure presente lo stesso ufficiale. Anche le posizioni di Monte Apa e Monte Zai, difese dalla colonna del Col. Mona, annientata dalla reazione della difesa navale e dalle truppe americane, furono conquistate dai rangers americani.

“…Su Monte Castelluccio ho innalzato un monumento ai miei morti. Ai piedi di esso ho posto una lampada votiva sempre accesa che io solo vedo, come io solo vedo il monumento. Questa lampada è il mio cuore: io non potrò mai spegnerla finché sarò in vita perché io soltanto so quanto grande e glorioso sia stato il loro sacrificio…”(Tenente colonnello Dante Ugo Leonardi, comandante del III°/34° fanteria Livorno)

La Divisione «Livorno» aveva perso la sua capacità offensiva a causa delle ingenti perdite subite; infatti al termine della giornata, la grande unità del Regio Esercito tra morti, feriti, prigionieri e dispersi aveva perso 214 Ufficiali e 7.000 tra Sottufficiali e truppa su un totale di 11 400 uomini.

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La stele che commemora i fanti della Livorno morti nella battaglia di Gela

Più contenute invece le perdite tedesche, la Divisione «Hermann Göring» registrò nei combattimenti, 30 Ufficiali e 600 tra Sottufficiali e truppa su un totale di 8.739 unità, mentre dei 99 carri impiegati ne furono messi fuori combattimento 43. Molto pesanti anche le perdite americane valutate in circa 2.300 fra morti e feriti.

La battaglia di Gela, era ormai persa e il XVI Corpo d’Armata, aveva esaurito buona parte delle riserve mobili a sua disposizione e le zone di sbarco erano ormai saldamente in mano alle truppe statunitensi. La battaglia si spostava ora nelle zone interne dell’isola, e come vedremo nei prossimi giorni si trattò tutt’altro che di una passeggiata militare, come viene spesso descritta dagli storiografi alleati, la campagna di Sicilia.

Grazie per aver letto il nostro post e con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo. Per chi volesse ulteriormente approfondire l’argomento segnaliamo un recente e interessantissimo libro Tre giorni vissuti da eroi. Le voci dei protagonisti: Gela 10-12 luglio 1943 che raccoglie le testimonianze di coloro che la battaglia la vissero in prima persona.

Tre giorni vissuti da eroi. Le voci dei protagonisti Gela 10-12 luglio 1943Tra il 10 e il 12 luglio del 1943 un uragano di fuoco si abbatté su Gela e su tutta la costa della Sicilia sud orientale. Una sanguinosa battaglia quasi ignorata dalla storiografia ufficiale che solamente negli ultimi anni, grazie alle pregevoli opere di autori come Andrea Augello e Pierluigi Villari, è stata portata alla ribalta del grande pubblico. Ma allora perché scrivere un altro libro sulla battaglia di Gela, Scoglitti, Butera? Questa è la domanda che ci siamo posti quando abbiamo deciso di intraprendere i lavori di questo libro. Senza nessuna velleità di ricercare la notorietà abbiamo proseguito le nostre ricerche. Fu durante lo studio dei verbali di interrogatorio consultati presso l’Archivio dell’Ufficio Storico dell’Esercito, ma soprattutto nel corso delle interviste ai diversi reduci della battaglia nei cui occhi, anche a distanza di più di settant’anni, vedevamo accendersi la scintilla dell’onore e del dovere nei confronti della Patria, che trovammo la risposta: “dobbiamo dare voce ai protagonisti, alle loro paure e speranze. Far conoscere direttamente dalla loro voce che, nonostante la sproporzione di forze, nonostante avessero la netta sensazione di aver perso ancor prima di iniziare a combattere, rimasero fedeli, con ferrea volontà alla legge del dovere e dell’onore”. Con il Patrocinio dello Stato Maggiore dell’Esercito.

10 pensieri riguardo “11 luglio 1943, la battaglia di Gela poteva realmente cambiare la Storia?

  1. Da quanto si legge furono proprio gli Alleati ad inventare gli scudi umani e ciò la dice tutta a proposito delle guerre che ci sono state fino ad oggi. Per quando riguarda Patton è stato sicuramente un grande generale, ma anche un grande criminale di guerra. Lasciano parecchi dubbi, e non aggiungo altro, il comportamento della nostra Regia Marina, che con la sua potenza di fuoco avrebbe tranquillamente potuto pregiudicare lo sbarco alleato, ma che preferì restare al sicuro nei porti, senza neanche tentare di raggiungere i luoghi dello sbarco. Per concludere la vittoria alleata non fu per niente scontata, come sostiene la storiografia ufficiale.

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  2. […] Le nostre unità d’intervento rapido, delle quali solo una del tutto motorizzata e ben attrezzata, la divisione Livorno, unità preparata per l’operazione Hercules, l’operazione di occupazione dell’isola di Malta, mai portata a termine, e la divisione della Luftwaffe “Herman Goering” Livorno, il giorno dopo lo sbarco, nella primissima mattina dell’11 luglio attaccarono le zone di sbarco americane intorno a Gela. […]

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  3. Hai detto bene Santino, e inoltre da questi episodi resta palese la vigliaccheria alleata di Patton, presunto eroe o stratega militare, quando già sapeva di poter contare sulla superiorità materiale e armamentaria di almeno 10-1 in fatto di volume di fuoco ordinò ai soldati USA di non far prigionieri!
    Il tutto accentuato dai rapporti preinvasione stabiliti dagli italoamericani e dai loro mafiosi stessi coi parenti e compari dell’isola per agevolare l’abbandono di postazioni e armamento agli invasori.
    Tutto questo poi aggravato dall’inerzia inspiegabile, se non con l’invidia e altrettanta vigliaccheria, della Marina Regia Italiana che pur potendo reagire anche in piccolo con azioni eroiche (vedi i “maiali” al porto di Alessandria) non lo fece e non difese neppure Lampedusa, Pantelleria o la Sardegna.
    Ogni resistenza italotedesca per quanto eroica come la Divisione Goering o il ponte Primosole non fece altro che ritardare la penetrazione siciliana, molte postazioni costiere in debole calcestruzzo finirono prima le munizioni rispetto alla volontà di combattere: distrutte dai bombardamenti alleati congiunti, questi i bunker finirono allo stesso modo e da Gela in su furono assassinati tutti quelli che si arrendevano o passavano di là: soldati o civili che fossero…

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