Oggi ricorre il 75° anniversario dell’operazione Overlord, lo sbarco alleato in Normandia, l’operazione anfibia più grande di sempre. Nelle prime ore di quel martedì 6 giugno 1944 conosciuto come D-Day in inglese e Jour-J in francese, precedute da un imponente bombardamento aeronavale toccarono terra nella penisola del Cotentin e nella zona di Caen le truppe alleate aviotrasportate, che aprirono la strada alle forze terrestri. Le fanterie americane, inglesi canadesi e polacche sbarcarono su cinque spiagge all’interno di una fascia lunga circa ottanta chilometri.
Sull’argomento sono stati consumati quintali di inchiostro e chilometri di pellicole cinematografiche, ma noi trattiamo la storia degli italiani in guerra e di quello vogliamo parlare. Perché pochi lo sanno ma come dice il titolo del nostro post odierno, quel giorno un po’ di Italia era presente sulle insanguinate spiagge del nord della Francia, schierati su entrambi i fronti e non si trattava di una presenza simbolica, ma di circa 20 mila uomini, addirittura 40 mila secondo altre stime.
Analizziamo per prima coloro che per scelta, per convenienza o per obbligo erano schierati a difesa del “vallo atlantico” sia come unità combattenti che di supporto logistico. Per la precisione si trattava di quattro grandi categorie:
- lavoratori presso le imprese edilizie che operavano sulla costa da Cherbourg a Le Havre (es. la Ditta Rizzotto di Arcole, VR);
- prigionieri militari italiani (principalmente del 6° Battaglione Alpini “Trento”) catturati a Grenoble dai tedeschi dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 e impiegati nella costruzione delle fortificazioni e strutture connesse al Vallo Atlantico;
- reparti vari con consistenza massima a livello di battaglione combattenti a fianco dei tedeschi. Per esempio, reparti delle SS italiane e la batteria antiarea “Martha” comandata dal ten. Danilo Bregliano, dove avrebbe combattuto anche Walter Annichiarico, successivamente attore meglio conosciuto come Walter Chiari, i mitraglieri aggregati al 736° Reggimento Fanteria tedesco, gli artiglieri del 1261° Reggimento Artiglieria costiera;
- reparti della Repubblica Sociale Italiana (R.S.I.) come circa 200 irriducibili marò che combatterono sull’Isola – bunker di Cezèmbre, davanti al porto di Saint Malò.
A questo reparto e a questo episodio bellico dove le truppe della R.S.I. e precisamente della 1ª Divisione Atlantica Fucilieri di Marina, unità della marina della Repubblica Sociale Italiana che resistettero per il mese di agosto 1944 contro qualsiasi tentativo di conquista alleata, compreso il lancio di 120 mila tonnellate di bombe, del napalm (ufficialmente utilizzato per la prima volta in assoluto) dedicheremo nelle prossime settimane un apposito post. La resa ufficiale sarà solo il 2 settembre dopo uno sbarco anfibio e tutti gli italiani catturati verranno trasferiti nei campi per “non collaboratori” in Texas.
All’alba del D-Day negli scacchieri di Omaha, Utah, Juno e Gold c’ erano almeno cinque unità italiane in armi. Fra di essi i mitraglieri aggregati al 736º granatieri, quasi tutti bersaglieri che tentarono un disperato contrattacco e gli artiglieri del 1261º impegnati contro la più grande flotta di tutti i tempi. Nel settore Utah, in un bosco dietro al forte di Marcouf, la quarta batteria – personale italiano e comando tedesco – distrusse un cacciatorpediniere: «Centrammo un colpo dopo l’ altro – ha scritto il colonnello Triepel -. Uno spezzò il timone, perché la nave cominciò a sbandare. Poi sprofondò di prua».
Naturalmente e comprensibilmente oltre a chi combatté fino all’ultimo, ci fu anche chi approfittando della confusione venutasi a creare cercò di fuggire e di dirigersi verso l’Italia. E’ il caso degli alpini del battaglione «Trento», catturati in Francia meridionale nei tragici giorni dell’armistizio e costretti a lavorare per l’organizzazione Todt e dei camionisti piemontesi che per uscire dal lager avevano accettato di servire con la colonna mobile della 716ª divisione.
La presenza militare italiana a difesa della “festung Europa” la fortezza Europa come la definiva Hitler darà il suo contributo anche nei giorni successivi allo sbarco quando le forze armate germaniche cercarono disperatamente, in parte riuscendoci a rallentare l’avanzata degli alleati. Nelle tre divisioni corazzate delle SS mandate da Hitler per «ricacciare in mare» le truppe sbarcate erano presenti dei contingenti di volontari italiani e in tanti perderanno la vita. Circa 500 di loro erano inquadrati nella 17. SS-Panzergrenadier-Division “Götz von Berlichingen” e solo cento di loro faranno ritorno alle loro case a fine guerra.
Tra il 19 e il 27 giugno a Montebourg tre reggimenti di artiglieria (1261, 1262 e 1709) si sacrificarono quasi interamente, finendo distrutti nel tentativo di fermare i tank inglesi: un terzo dei soldati erano italiani. Questa era la presenza tricolore nelle file germaniche, ma non meno importante fu quella nell’altro campo quello alleato, dove moltissimi italo-americani sacrificarono la loro vita in quei giorni, fra di loro anche alcuni personaggi famosi e alcune star dello sport d’oltre oceano.
Ricordiamo il campione di baseball Yogi Berra (il cui padre era di Cuggiono, provincia di Milano) star indiscussa dei New York Yankees e noto per aver inventato la frase che racchiude tutto lo spirito del baseball: «Non è finita sinché non è finita». Il 6 giugno del 1944 quella frase non l’aveva ancora inventata e Berra prestava servizio come marinaio era su una nave da sbarco dotata di lanciarazzi. Ufficialmente li chiamavano «Landing craft support small» (piccole imbarcazioni di supporto per sbarchi), ma Berra e i suoi compagni le avevano ribattezzate «Large stationary target»(grossi bersagli immobili).
Fra i molti ci furono anche militari che ricevettero la Medal of Honor, la massima onorificenza dell’esercito americano, uno è Arthur Frederick De Franzo, sergente della prima divisione di fanteria nato a Saugus, Massachusetts. Il suo reparto il 10 giugno stava combattendo in Normandia vicino a Vaubadon e De Franzo finì sotto il fuoco delle mitragliatrici, nel tentativo riuscito, di salvare un suo commilitone rimasto ferito, salvo poi lanciarsi al contrattacco tirandosi dietro tutta la squadra di fucilieri. Mise fuori combattimento un primo nido di mitragliatrici, beccandosi un’altra pallottola, ma riuscì comunque a raggiungerne un secondo, polverizzandolo a colpi di granata. Morì poco dopo, ma i tedeschi furono spazzati via.
L’altro eroe è il soldato semplice Gino J. Merli (nato da un minatore di origine italiana e morto nel 2002). Sopravvisse senza troppi guai allo sbarco e continuò la sua avanzata sino a Sars- la-Bruyère al confine belga. Lì le cose si volsero al peggio: un contrattacco notturno travolse il suo reparto e Merli dopo essersi finto morto, quando i tedeschi lo superarono si mise a sparare all’impazzata. Venne recuperato dai suoi la mattina del 5 settembre: attorno alla sua mitragliatrice c’erano 52 tedeschi morti.
Prima di chiudere il post, ricordiamo che sull’argomento, esiste anche una interessante e per ora unico documentario denominato “D-Day noi italiani c’eravamo”; filmato è firmato dal regista Mauro Vittorio. Grazie per aver letto il nostro post e con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.
Un mio parente , di Varese, che per sfuggire alla guerra si era arruolato nella polizia RSI, mi disse che nel 44 aveva assistito ad alcuni spettacoli di varietà organizzati per le FFAA della Repubblica.
E tra gli attori alle prime armi, c’era Walter Chiari. Deve trattarsi di un interessante caso di bilocazione. 🙂
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Tutto è possibile, come sicuramente non possiamo verificare se il suo parente fosse una fonte storica di indiscussa attendibiltà. Rimarremo per sempre con il dubbio
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[…] 6 giugno 1944, sulle spiagge della Normandia c’eravamo anche Noi […]
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Non dimenticare chi si è sacrificato per la propria Patria è quasi imperativo.
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