Il post odierno è dedicato a uno dei tanti eccidi, compiuti da partigiani o forse è meglio dire da criminali, ai danni di militari della Repubblica Sociale Italiana, a guerra ormai ufficialmente conclusa. La vicenda si svolge, in violazione ad ogni norma di diritto internazionale, nella zona di Valdobbiadene nel trevigiano e coinvolge 47 militari della X Mas, appartenenti al Battaglione Nuotatori Paracadutisti, i cosiddetti NP («Ennepì»).

Come abbiamo narrato in un nostro post del 26 aprile, nel tardo pomeriggio di quel giorno presso il comando della X Mas a piazzale Fiume a Milano, il comandante principe Junio Valerio Borghese, aveva dato l’ordine di smobilitazione al reparto, la guerra era finita. Come ebbe a dire nel suo discorso tenuto davanti a circa 700 uomini perfettamente armati, la Decima non si arrende, smobilita.
Il reparto di fanteria d’assaldo NP risultava composto da 650 uomini sotto il comando del capitano del Genio Navale Nino Buttazzoni, un triestino classe 1912. Nei primi giorni di marzo del 1945, il reparto risultava dislocato in fase di addestramento nella cittadina pedemontana, dopo aver combattuto in Piemonte e nel Goriziano. Il 9 di marzo il reparto veniva ancora una volta chiamato in prima linea, nel disperato tentativo di contrastare l’avanzata delle armate alleate che premevano sul fronte del Senio in Romagna.
Ricevuto l’ordine di trasferimento Buttazzoni decise di lasciare nella caserma di Valdobbiadene gli uomini meno adatti all’asprezza dei combattimenti: i marinai troppo giovani o troppo anziani, quelli non in perfetta forma fisica o con pesanti obblighi famigliari. I prescelti si troveranno a combattere duramente nelle settimane successive, al fianco dei reparti del battaglione “Lupo” e del gruppo d’artiglieria “Colleoni”, sempre della divisione Decima, subendo pesanti perdite in combattimento e ricevendo numerose decorazioni dai tedeschi. Dopo il crollo della linea Verde, i superstiti riusciranno a ripiegare in armi su Venezia, dove rimasero fino all’arrivo degli alleati, a cui si arresero con l’onore delle armi.

Ai 47 rimasti a Valdobbiadene toccherà invece la peggiore delle sorti. Nel trevigiano agisce la famigerata brigata partigiana Mazzini, comandata da Beniamino Rossetto (detto Mostacetti), comunista già combattente di Spagna coi rojos. Occorre precisare che la zona di Valdobbiadene è di scarso interesse militare per gli stessi tedeschi ed è, per questo che prima dell’arrivo di Mostacetti. in zona non succede nulla di rilevante, ma anche in quella zona presto comincerà a scorrere il sangue.
Insieme col Rossetto compaiono Marino Zanella (Amedeo)e Valeriano De Pasquale (Tomagnin), le prime loro “imprese” riguardano l’eliminazione fisica di partigiani non comunisti. come è il caso del prof. Antonio Adami, capo autorevole di un gruppo di partigiani non comunisti che entrano subito in conflitto con la Mazzini. Adami viene ucciso da quattro partigiani rossi che, dopo averlo legato con una cavezza, gli sparano alla fronte, è il 26 marzo 1944.
Da quel momento è un filo infinito di morti che quelli della Mazzini recano con sé, donne, bambini, anziani nulla sfugge all’orgia di sangue di Mostacetti e soci. Nel luglio 1944, viene catturato Angelo Feltrin, membro di un reparto fascista di Conegliano. Portato sul Montello, il malcapitato viene colpito a pistolettate, ma non lo uccidono. Più tardi verrà ritrovato ancora in vita ed in piedi appoggiato ad un albero e verrà finito da altri partigiani che poi con una tanica di benzina, bruceranno il cadavere, mettendo poi i poveri resti in una pentola con soda caustica, ricavandone sapone.
Il 7 ottobre 1944 viene catturato il maresciallo dei carabinieri Ettore Buggio. Portato pure lui sul Montello, viene assassinato con un colpo alla nuca, poi squartato e pure il suo cadavere viene saponificato. Nel febbraio 1945 vengono uccisi i marò Sergio Baroni, Attilio Coretti. Vincenzo Anipoarides e Dante Brattini. Il 13 febbraio viene fucilata Olga Barbi, l’11 marzo viene ucciso il giovane sagrestano Romolo Bortolin e il 22 viene sequestrata e ammazzata Nadia Majolin.
Nel frattempo vengono uccisi i giovanissimi fratelli Rino e Italo Simeoni, ma la sciad i sangue non accenna a placarsi. Il 3 aprile viene prima violetnata e poi uccisa la ventiduenne Maria Bortolin, dopo averle ammazzato il fratello Orlando. La stessa notte. viene ucciso Antonio Malacart, dopo avere già assassinato i suoi due figli Isidoro e Italo. Numerosi sono i militi della RSI assassinati e per puri motivi di spazio è impossibile elencare tutti gli omicidi commessi tra il marzo e l’aprile del ’45 dagli uomini di Mostacetti.
II reparto della Mazzini che controlla il territorio di Valdobbiadene è diretto da Antonio Bellorino, nome di battaglia Primula Rossa. Il 26 e 27 aprile, costui, accompagnato dai partigiani Luscia (un ex maresciallo della Finanza) e Gino Dal Prà si incontra con Paolo De Benedictis ed Ettore Rubino per avviare e concludere trattative per un pacifico passaggio dei poteri. Viene quindi raggiunto un accordo che sembra precludere a una fine pacifica della vicenda.
Ma come accadde quasi sempre gli accordi non verranno rispettati. Dopo che i militari tedeschi e italiani hanno consegnato le armi, Primula Rossa, d’accordo con Mostacetti, fa arrestare proditoriamente i militi della GUardia Nazionale Repubblicana, delle Brigate Nere, i marò della Decima e i militari tedeschi, facendoli ammassare per molto tempo in piazza Marconi. Dopo l’esposizione in piazza, i 632 tedeschi vengono rinchiusi a Villa dei Lauri e nell’ospedale, e gli italiani nelle caserme della Guardia di Finanza e dei Carabinieri.
Nello stesso pomeriggio del 30 aprile, i tedeschi vengono scortati fino a Fener e consegnati alle truppe alleate, non prima di essere stati depredati di ogni loro avere Per gli italiani invece la sorte sarà molto peggiore, le stesse fonti resistenziali parlano di circa 400 tra fascisti e tedeschi uccisi in quelle zone nei giorni di maggio 1945. L’oggetto del post odierno è l‘eccidio di Valdobbiadine, il resto verrà trattato a parte.
Come descrive un rapporto dei carabinieri di Valdobbiadene, compilato nel giugno del 1950, nella notte tra il 4 ed il 5 maggio del 1945, ai 47 marinai fu ordinato di salire su tre camion per raggiungere un campo di concentramento. Il primo camion, con a bordo anche due donne ed un anziano, si diresse verso Saccol, piccola frazione poco distante; qui i prigionieri furono ammassati in una galleria e massacrati a colpi di mitra e bombe a mano.
La galleria, poi, fu fatta saltare per occultare il crimine, Carlo Armando, un ventenne nativo di Altavilla Irpina in provincia di Avellino, nonostante l’ingresso del tunnel fosse stato fatto saltare, fintosi morto, appena i partigiani se ne furono andati, riuscì fortunatamente a trovare una via di fuga riparando in una casa di contadini che lo soccorsero e curarono. Sarà l’unico superstite fra i quarantasette Nuotatoti Paracadutisti.
Il secondo autocarro fu condotto sempre nei pressi, a Madean, dove i marò furono picchiati, derubati, assassinati, gettati in una fossa ed i loro cadaveri dati alle fiamme. Stessa sorte toccherà’ ai passeggeri del terzo veicolo, quello che raggiunse la località di Bosco di Segusino. Tra le vittime dell’eccidio vi erano un diciottenne e due diciassettenni. Il 17 Giugno 1950, il maresciallo Giuseppe Sotgiu, comandante della stazione dei Carabinieri di Valdobbiadene, comunica alla Procura della Repubblica di Treviso l’esito delle indagini sugli eccidi in zona. Egli, tra l’altro, scrive:
“Com’è noto in quei giorni elementi partigiani della Brigata Mazzini agli ordini del comandante Mostacetti uccisero nella zona di Valdobbiadene, Segusino e Combai un numero imprecisato di prigionieri… La maggior parte degli uccisi era stata arrestata dopo aver consegnato le armi e lasciata in libertà, in un primo tempo sotto il pretesto di un nuovo interrogatorio…. Nella notte dal 4 al 5 maggio, col pretesto di essere tradotti in un campo di concentramento, i destinati alla morte vennero divisi in tre drappelli:
– il primo, sotto buona scorta. fu caricato sopra un camion e tradotto in località Saccol di Valdobbiadene:
– il secondo a mezzo di un camion, fu tradotto in località Madean di Combai. territorio della stazione di Col San Marino;
– il terzo fu tradotto in località Bosco di Segusino.
Del gruppo di Saccol fecero parte due donne ed un vecchio. In questa località. i partigiani fecero fuoco con raffiche di mitra e con bombe a mano sui prigionieri dopo averli spinti in una galleria. la quale fu fatta saltare con dinamite. II giorno dopo i cadaveri vennero rinvenuti a brandelli proiettati a lunga distanza. Lo afferma il superstite fuggito alla strage, Carlo Armando fu Giuseppe e fu Repucci Maria, nato ad Altavilla Irpina il 10/2/25.
Quelli condotti in località Madean, legati con filo di ferro con le mani alla schiena, furono maltrattati, uccisi sommariamente, spogliati di ogni avere e gettati in una buca.
Gli esecutori rientrarono a Valdobbiadene con lo stesso automezzo recando le spoglie e gli oggetti sottratti alle vittime. Uguale la sorte toccata ai prigionieri condotti in località Bosco di Segusino. i quali furono seviziati e dopo uccisi e depredati….
Le salme gettate nella buca di Madean. a cui si era appiccato il fuoco dopo aver gettato liquidi infiammabili giorni dopo per distruggere il fetore, vennero in parte recuperate anni addietro. …
Non è stato finora possibile recuperare le salme dei due Ufficiali della Xa Flottiglia Mas. Si tratta dei Sottotenenti Rubino Ettore e De Benedictis Paolo. il primo capo dell’autoreparto ed il secondo Ufficiale d’amministrazione. E’ risultato che questi Ufficiali, ancora nei giorni 26 e 27 aprile avevano spontaneamente offerto la resa al capo partigiano Mostacetti. al Maresciallo di Finanza Luscia Antonio ed a tale Gino Dal Prà ed avevano consegnato un numero imprecisato di automezzi, materiale di rispetto, valori e tutto quanto avevano in consegna.
Si precisa che il trapasso di denari, automezzi e materiale vario avvenne regolarmente con scambio di ricevute firmate dalle parti Il Sottotenente De Benedictis consegnò ai predetti la somma di dieci milioni e cinquecentomila lire in assegni della Banca d’Italia e £. 500.000 in biglietti di stato. Inoltre lo stesso Ufficiale avrebbe consegnato a Dal Prà Gino la somma di £. 250.000 in contanti, ritirandone ricevuta. Tutto ciò afferma la signora Sestilli Cecchi Pandolfina fu Rinaldo. Futura suocera del De Benedictis, residente a La Spezia, via Duca di Genova 6. Entrambi gli ufficiali in parola -avvenuto il regolare trapasso di quanto sopra – furono lasciati liberi ed essi ebbero modo di far vedere gli inventari dei materiali e valori consegnati. Nei giorni successivi furono prelevati col pretesto di chiarimenti e furono al pari degli altri soppressi, occultandone i cadaveri i quali a tutt’oggi non sono stati rinvenuti.
Degli inventari di consegna nessuna traccia. Le responsabilità delle soppressioni compiute in massa con crudeltà. vengono attribuite non soltanto agli esecutori materiali. ma anche ed in massima parte ai predetti capi Mostacetti, al maresciallo di finanza Luscia Antonio, Dal Prà Gino ed altri. Si narra che specialmente Luscia e il Dal Prà avrebbero potuto fare opera mediatrice per evitare la strage. E’ diffusa la persuasione che costoro, d’accordo con i componenti il tribunale marziale. nella imminenza del trapasso dei poteri da mani partigiane ai comandi alleati decisero l’eliminazione dei due ufficiali (oltre agli altri) per Impedire che essi palesassero l’entità dei materiali e dei denari consegnati. II comando brigata Mazzini – su specifica richiesta – ha fornito le copie delle sentenze marziali soltanto per 19 sui cinquanta uccisi. sentenze compilate dopo la strage per ordine di un ufficiale alleato. il quale era stato messo al corrente dell’eccidio dalla popolazione terrorizzata.
E’ chiaro che 31 prigionieri sono stati uccisi senza neppure procedere alla loro identificazione. Nelle sentenze marziali si parla di condanne alla pena di morte a mezzo fucilazione alla schiena, ma i fatti si sono svolti mediante esecuzione sommaria nei modi noti. “.
Nel 2005 il pm militare di Padova, Sergio Dini, ha aperto un fascicolo per accertare fatti e responsabilità dell’eccidio oggetto del nostro post, oltre ad altri due avvenimenti controversi: la strage di Lamosano e l’eccidio del Bus de la Lum. Il magistrato ritiene che sia il Decreto Luogotenenziale 12 aprile 1945, sia l’amnistia Togliatti non possono coprire il fatto: il primo riguarda solo le azioni di guerra, quindi gli atti compiuti per la necessità di lotta contro i fascisti, mentre la seconda escludeva i casi di sevizie particolarmente efferate. In ogni caso osserva, le leggi nazionali non possono prevalere sul diritto internazionale e quindi sulle varie convenzioni relative al trattamento dei prigionieri di guerra.

Nel settembre del 2015 a oltre 70 anni dal tremendo eccidio i famigliari delle vittime, sono riusciti finalmente a far posare una lapide che ricorda i loro congiunti trucidati a Saccol. La stessa è stata collocata in un cortile privato sul retro di un capitello religioso già esistente e con il consenso dei proprietari, alla presenza delle autorità locali e dell’Assessore al lavoro della Regione Veneto Elena Donazzan che ha dichiarato:
“Le istituzioni hanno il compito di lavorare per la pacificazione nazionale cercando di far capire che nella tragedia di una guerra civile non ci sono caduti di serie A o di serie B”. “La storia va analizzata e compresa – ha aggiunto – comprese le pagine più buie e per farlo a volte sarebbe più utile, quando possibile, sentire il racconto di chi c’era piuttosto che limitarsi a quello che si legge sui libri”.
La cerimonia non ha mancato di scatenare le polemiche nel trevigiano in particolare da parte dell’ANPI locale, della senatrice del PD Laura Puppato e da parte del segretario provinciale della CGIL Vendrame, sempre attenti a non far trapelare la verità che ad uccidere non furono solo i fascisti ma anche i partigiani e tanto hanno fatto che già nel gennaio successivo, arrivasse la notifica di abuso edilizio per il proprietario del terreno, da parte della polizia locale di Valdobbiadene.
Dal municipio fanno sapere che la notifica della polizia locale consisteva in una semplice sospensione dell’installazione per l’assenza dell’autorizzazione paesaggistica, pratica indispensabile in quanto l’area è sottoposta a vincolo ambientale. Passati i 60 giorni per sistemare il permesso, i vigili tornano sul posto constatando che la targa, nel frattempo era stata rimossa. La vicenda ha spinto l’Associazione Caduti e Dispersi della RSI a intraprendere nel maggio del 2016 un’azione legale per abuso in atti d’ufficio contro il sindaco Luciano Fregonese e l’allora comandante Giampiero Farinelli.
Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.
Qui le chiamate stragi partigiane il resto dell’italia libera la chiama giustizia. Grazie partigiani peccato solo che non abbiate sterminato tutti i fascisti che ancora oggi ammorbano questo paese, ma a piazzale loreto c’è ancora spazio
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