Massacro alle fosse Ardeatine, la risposta tedesca all’attentato di via Rasella

Nel nostro post di ieri abbiamo analizzato come a seguito dell’ordine impartito da Giorgio Amendola, i G.A.P. i Gruppi di Azione Patriottica compirono un attentato contro le truppe tedesche causando la morte di 33 militari della Ordnungspolizei, la polizia d’ordine germanica. I militari appartenevano al “Bozen” reparto che impiegava personale reclutato nell’Alto Adige nell’autunno 1943, durante l’occupazione tedesca della regione. La truppa era formata da coscritti altoatesini mentre gli ufficiali e i sottufficiali provenivano dalla Germania.

Chi volesse approfondire l’argomento, per capire come si svolse l’azione può leggere il nostro post dedicato all’argomento al seguente link: Attentato in via Rasella.

La notizia arrivata a Berlino aveva causato la collera di Hitler che richiese che per ogni tedesco ucciso venissero passati per le armi da 30 a 50 italiani arrivando addirittura a farneticare la distruzione totale della città eterna. Probabilmente, considerando che i problemi militari del Reich erano molto gravi su tutti i fronti, Hitler perse presto interesse per la questione lasciando la decisione finale ai comandi tedeschi in Italia in primis il Feldmaresciallo Albert Kesserling.

La risposta tedesca a quello che fu il più grande attentato compiuto in un area urbana contro le truppe del Terzo Reich in Europa occidentale, anche se non era quella inizialmente proposta da Hitler fu tuttavia molto cruenta. La decisione che dieci italiani per ogni tedesco ucciso potessero bastare fu presa di comune accordo tra Kesserling, il generale Mälzer comandante della piazza militare di Roma dopo essersi consultato con il colonnello delle SS Herbert Kappler e il generale Eberhard von Mackensen, comandante dalla 14ª Armata superiore diretto del generale Mälzer.

Venne deciso che le vittime della rappresaglia avrebbero dovuto essere i cosiddetti Todeskandidaten; i prigionieri detenuti a Roma già condannati a morte o all’ergastolo e quelli colpevoli di atti che avrebbero probabilmente portato ad una condanna a morte. La principale preoccupazione era di chiudere la faccenda al più presto, entro 24 ore e nella massima segretezza ma ci si rese conto che era impossibile individuare nel poco tempo a disposizione l’elevato numero di Todeskandidaten richiesto. Il compito di compilare la lista venne affidato a Kappler che si avvalse del suo aiutante principale, il capitano Erich Priebke.

Kappler si accorge subito che i condannati a morte a Roma sono solo 3 e non sapendo come fare chiama il capo del servizio di sicurezza tedesco a Verona, il generale Wilhelm Harster, che gli consiglia di aggiungere i nomi di 57 ebrei già arrestati dai nazifascisti a Roma per completare la lista. A questo punto si reca alle prigioni del Viminale per controllare di persona la lista degli arrestati di via Rasella e cercare i nomi dei condannati e delle persone che possono essere sospettate di attività partigiane o anti-tedesche.

Nuovamente, Kappler raggiunge via Tasso sede della Gestapo e prosegue la redazione della lista. Dopo avervi annotato i nomi di 16 attivisti antifascisti e sospettati di “oltraggio alle truppe tedesche”, include nell’elenco Aldo Finzi, ebreo, stretto collaboratore di Mussolini, che nel 1943 era entrato nella Resistenza, e il capitano di stato maggiore Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo, capo del Fronte Militare Clandestino, incarcerato in via Tasso dal 25 gennaio. In seguito ad un ulteriore controllo, gli ebrei in carcere risultano 65: vengono aggiunti tutti alla lista.

Kappler, con l’aiuto del capitano delle SS Erich Priebke, di ora in ora estende la lista, aggiungendovi vari condannati per crimini minori e persone anche solo sospettate di avere rapporti con la Resistenza. Alle 5 della mattina i nomi sulla lista sono ormai 269. Kappler che è in attesa dei 50 nomi promessi dal questore di Roma Caruso, ritiene di aver raggiunto finalmente il numero di 320 condannati a morte previsti dalla rappresaglia.

Alle ore 08.00 del mattino tuttavia il questore Caruso non aveva ancora pronto il suo elenco. Si era recato a conferire con il ministro degli interni della Repubblica Sociale Guido Buffarini Guidi, per richiedere istruzioni e la sua approvazione alla compilazione della lista; il ministro si mostrò poco interessato a prendere responsabilità dirette e si limitò ad affermare che era inevitabile dare i nomi, “altrimenti chissà cosa potrebbe succedere. Si, si, dateglieli!”.

Alle ore 09.45 Caruso ebbe un incontro burrascoso in via Tasso con il colonnello Kappler che pretese la lista dei 50 nomi; al colloquio era presente anche Pietro Koch, capo della squadra speciale della polizia fascista di Roma, che stava già preparando un suo elenco di persone da condannare alla rappresaglia. Caruso apparve poco collaborativo; affermò di non avere molti prigionieri e diede solo il nome di un medico condannato a morte per mercato nero; egli quindi si allontanò seguito da Koch che invece garantì al colonnello che la lista con i 50 nomi sarebbe stata pronta entro le ore 14.00.

Ma compilare la lista con i 320 nomi non era il solo problema, occorreva trovare anche chi fosse disposto ad eseguire un ordine del genere. Il colonnello Kappler si incontrò alle ore 12.00 con il generale Mälzer per riferire sui progressi nella compilazione della lista e nello stesso tempo per ordinare al maggiore Dobbrick, del reggimento “Bozen” quello direttamente coinvolto nell’attentato di eseguire personalmente con i suoi uomini la rappresaglia. Questi rifiutò espressamente di obbedire affermando che i suoi soldati non erano in grado, per sentimenti religiosi, di eseguire le fucilazioni.

La scelta cadde allora sul colonnello delle SS Wolfgang Hauser, ma egli rifiutò di coinvolgere le SS, “consigliando” di rivolgersi alla Gestapo come esecutore. A questo punto Mälzer, sempre più in difficoltà, decise di assegnare direttamente al colonnello Kappler e ai suoi uomini l’esecuzione delle fucilazioni. Così l’ordine viene dato proprio a Herbert Kappler, che non trova ragioni per rifiutarsi di obbedire. Il problema successivo è quello di trovare un posto adatto per l’esecuzione dell’operazione. Il capitano Erich Kohler propose di utilizzare delle cave abbandonate poco fuori Roma, sulla via Ardeatina, nei pressi delle catacombe di San Callisto. In essa si trovavano una serie di gallerie sotterranee abbandonate, ritenute idonee e facilmente occultabili facendo esplodere le entrate delle gallerie. Trovato anche il posto rimanevano a quel punto solo da definire i particolari, 

Kappler passa quindi ad organizzare la macchina della morte, i suoi 74 membri della Gestapo dovranno uccidere in meno di 7 ore, 330 prigionieri. Vengono definiti i gruppi di fuoco, date istruzioni sull’angolo di tiro e sulla posizione in cui dovranno essere messi i condannati per massimizzare l’effetto e risparmiare munizioni e tempo. Viene stabilito che le uccisioni fossero dirette dal capitano Carl Schütz e che il capitano Priebke controllasse la lista per verificare l’avvenuto completamento delle uccisioni e che si impiegasse “non più di un minuto per ogni uomo”.

Il tenenete colonnello Herbert Kappler
Il tenente colonnello delle SS Herbert Kappler

Verso le 13 si apprese la notizia della morte del trentatreesimo soldato tedesco in via Rasella e Kappler, prese l’iniziativa immediata ed autonoma di comprendere nella lista dei condannati a morte altri dieci uomini, presi tra un gruppo di ebrei che erano stati arrestati nelle ultime ore dopo il completamento dell’elenco iniziale. Intanto fin da mezzogiorno era iniziato il concentramento dei todeskandidaten, che rinchiusi in via Tasso furono condotti fuori dalle celle e radunati con le mani legate dietro la schiena, Non venne comunicata alcuna informazione sul destino che attendeva le vittime; il colonnello Kappler e il capitano Schütz ritennero che, per evitare reazioni pericolose dei prigionieri o della popolazione, difficilmente controllabili a causa del ridotto numero di militari tedeschi disponibili, fosse preferibile mantenere l’incertezza e la segretezza.

Poco prima delle ore 14.00 la colonna degli autoveicoli con i prigionieri si mise in movimento e da via Tasso girò sulla destra su via Ardeatina; il luogo era distante circa un chilometro. Prima dell’arrivo degli automezzi con i condannati, il capitano Schütz si era recato sul luogo con i suoi uomini, si trattava di personale poco esperto di armi e impiegato soprattutto in compiti burocratici di polizia e repressione; egli illustrò in modo energico la loro missione; il colonnello Kappler parlò agli ufficiali, affermando che il loro compito era legittimo e che era indispensabile una loro partecipazione diretta per rinsaldare il morale degli uomini.

Alle ore 15.30 arrivarono anche i prigionieri provenienti da Regina Coeli, Don Pietro Pappagallo, sacerdote arrestato per la sua attività antifascista, benedice tutti, pochi minuti prima che inizino le fucilazioni. I prigionieri, suddivisi in gruppi di cinque, vennero condotti nelle gallerie, all’entrata del luogo di esecuzione Priebke richiedeva il nome al condannato e controllava la lista; quindi le vittime venivano fatte inginocchiare e gli esecutori, all’ordine del capitano Schütz, sparavano un colpo di pistola dall’alto in basso all’altezza del collo; in questo modo si riteneva di ottenere una morte immediata.

Un soldato accanto all’esecutore illuminava la scena con un’altra torcia. Il colonnello Kappler prese parte al secondo turno di eliminazione; il capitano Priebke invece sparò con il terzo turno. In totale furono effettuati 67 turni di esecuzioni; mentre all’inizio la procedura di annientamento delle vittime sembrò avviarsi con precisione e disciplina, con il passare del tempo la situazione divenne più confusa. Alcune vittime cercarono di opporre resistenza e dovettero essere sottomesse con la forza; la massa crescente di cadaveri venne accatastata per lasciare spazio a disposizione; alla fine per accelerare i tempi si decise di far salire le vittime e gli esecutori sopra lo strato di cadaveri e si formarono pile di corpi.

Mentre procedeva l’eliminazione il colonnello Kappler era in ansiosa attesa dell’arrivo dei cinquanta uomini che avrebbero dovuto essere forniti dal questore Caruso; quest’ultimo aveva continuato a cercare di guadagnare tempo e non aveva ancora completato la lista. Alle ore 16.30 due ufficiali tedeschi arrivarono a Regina Coeli e pretesero immediatamente i cinquanta prigionieri; dato che la lista di Caruso non era ancora arrivata, vennero radunati  prigionieri a caso, prelevando alcuni che erano effettivamente compresi nell’elenco del questore ma anche dieci detenuti estranei in procinto di essere rilasciati.

Le venticinque esecuzioni finali terminarono alle ore 20.00. Il colonnello Kappler al termine dell’eccidio parlò ai suoi uomini ammettendo che era “stato molto difficile” ma affermò che “la rappresaglia era stata eseguita” in applicazione delle “leggi di guerra”. Al termine dell’eccidio Priebke rilevò che erano presenti, a causa della confusione dell’azione finale di rastrellamento dei condannati a morte, cinque uomini in più del numero previsto di 330, ma Kappler, decise di procedere all’eliminazione anche di questi ostaggi perché “avevano visto tutto”.

Al termine della “procedura di annientamento” delle vittime, i soldati del genio tedeschi minarono gli accessi alle gallerie e fecero esplodere le cariche sbarrando le entrate; in questo modo Kappler intendeva mantenere l’assoluta segretezza sull’eccidio. L’Alto comando tedesco diramò alle ore 22.55 del 24 marzo un comunicato, trasmesso dall’Agenzia Stefani, che, dopo aver descritto l’attentato di via Rasella, “imboscata eseguita da comunisti-badogliani”, proclamava la volontà di “stroncare l’attività di questi banditi” e rivelava di aver ordinato che “per ogni tedesco ammazzato dieci comunisti-badogliani saranno fucilati” e concludeva con la frase inequivocabile

“l’ordine è già stato eseguito”.

I quotidiani romani riportarono il comunicato nella loro edizione di mezzogiorno del 25 marzo. Il CLN si riunisce per concordare la linea da tenere in seguito alla notizia della rappresaglia. Non c’è unità fra le anime del comitato; il presidente del CLN Ivanoe Bonomi valuta le dimissioni e al termine della seduta, si deciderà di rivendicare l’attacco di via Rasella.

Nei giorni e nei mesi successivi, i familiari di prigionieri scomparsi si recarono alle cave dove lasciarono fiori e messaggi dedicati ai loro cari, pur non avendo la certezza che fossero sepolti lì. Solo dopo la guerra le cave furono aperte e si poté procedere all’identificazione dei corpi delle vittime. Le autorità a quel punto assunsero

«il solenne impegno a erigere sul luogo della vendetta tedesca un monumento a perenne ricordo dei Martiri e di tutti i caduti della guerra di Liberazione»

L'ingresso del Sacrario delle Fosse Ardeatine

Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, un po’ più lungo dei nostri standard e con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

4 pensieri riguardo “Massacro alle fosse Ardeatine, la risposta tedesca all’attentato di via Rasella

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