Attentato in via Rasella

Roma, giovedì 23 marzo 1944, in via Rasella l’atmosfera è tesa, qualcuno sta aspettando il solito passaggio dei militari germanici, che però quel giorno sono in ritardo di un ora e mezza. Il nervosismo e l’ansia salgono, ancora pochi minuti e l’operazione sarebbe stata annullata. Ore 15.35, l’attesa è finita si sentono i passi cadenzati dei militari, sono i coscritti altoatesini inquadrati nel reggimento Bozen (Reggimento di polizia “Bolzano”) che si stanno avvicinando da via del Tritone. Ma chi sono gli uomini che stanno attendendo i soldati germanici e perché?

Inquadriamo la difficile situazione di quei giorni nella nostra penisola. Le truppe alleate sono ancora impantanate davanti alla linea Gustav e più precisamente davanti alle rovine dell’abbazia di Montecassino che circa due mesi prima con un tremendo e criminale bombardamento aereo avevano completamente distrutto. Il 15 marzo era stato effettuato anche un altrettanto tremendo sulla città di Cassino ma anche la terza offensiva alleata proprio quello stesso 23 marzo si era arenata davanti alla strenua resistenza dei paracadutisti tedeschi, i “diavoli verdi” che avevano trasformato le rovine dell’abbazia in una fortezza imprendibile.

A Roma, dichiarata “città aperta” la vita scorreva in attesa dell’arrivo dei “liberatori” alleati, perché nonostante la strenua ed efficace resistenza tedesca era chiaro che niente poteva fermare la macchina da guerra alleata con la sua superiorità di uomini e mezzi. Pochi minuti dopo sarebbe andato in scena il più sanguinoso e clamoroso attentato urbano antitedesco di tutta l’Europa occidentale occupata. Ad ordinare l’azione era stato Giorgio Amendola ad eseguirla una dozzina di uomini appartenenti ai G.A.P. i Gruppi di Azione Patriottica.

Obbiettivo dell’attentato che doveva essere compiuto con la detonazione di un ordigno esplosivo al passaggio di una colonna di soldati in marcia e nel successivo lancio di quattro bombe a mano artigianali sui superstiti, l’11ª Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment “Bozen”, appartenente alla Ordnungspolizei (polizia d’ordine) e composto da reclute altoatesine reclutate nella zona del’OZAV, la zona di operazioni delle Prealpi, la parte di territorio italiano comprendente le provincie di Bolzano, Trento e Belluno, inglobate direttamente nel territorio del Terzo Reich dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943.

Torniamo ora a Roma sono le 15.45, il partigiano Rosario Bentivegna accende la miccia e si allontana. La bomba esplode a metà della colonna tedesca. Ventisei soldati tedeschi del Polizeiregiment Bozen muoiono all’istante nella tremenda esplosione. Contemporaneamente, altri 3 partigiani attaccano il fondo della colonna, i soldati tedeschi in preda al panico pensano di essere stati attaccati dall’alto e aprono il fuoco contro le finestre in via Rasella.

Fuoco verso le finestre di via rasella

Nella concitata azione rimangono uccisi anche 6 civili, 4 uccisi dai soldati tedeschi e 2 probabilmente uccisi dalla tremenda esplosione, fra di essi un dodicenne Piero Zuccheretti il cui corpo venne completamente dilaniato. Mentre i partigiani si dileguavano dal luogo dell’attentato, la notizia si diffonde velocemente e sul posto, arrivano in rapida successione, il questore di Roma Pietro Caruso, il comandante della piazza di Roma generale Kurt Maelzer, il diplomatico e colonnello delle SS Eugen Dollmann seguiti poco dopo dal console Moellhausen accompagnato dal ministro dell’interno della Repubblica Sociale Guido Buffarini Guidi.

La prima reazione dei tedeschi è di mettere a ferro e fuoco l’intero quartiere e durante le operazioni di rastrellamento, i tedeschi fermano 250 persone tra i residenti di via Rasella e semplici passanti. Sotto la minaccia delle armi li allineano davanti a Palazzo Barberini. Arriva sul logo anche Herbert Kappler, il comandante della Gestapo a Roma, e proprio a lui viene viene affidato il compito di indagare sull’esplosione. Nello stesso tempo il console rientra al comando tedesco e cerca di mettersi in contatto con il feldmaresciallo Kesselring, il comandante superiore tedesco in Italia.

In breve tempo, la notizia dell’attacco in via Rasella arriva al comando supremo tedesco in Italia e viene poi ritrasmessa in Germania. La notizia arriva all’Oberkommando der Wehrmacht, il quartier generale del Reich, e Adolf Hitler viene informato. La sua prima reazione è quella di ordinare una rappresaglia “che facesse tremare il mondo” per punire la popolazione di Roma: per ogni soldato tedesco ucciso devono essere fucilati tra 30 e 50 italiani.

Rom, Festnahme von Zivilisten

A Roma intanto continuano perquisizioni e sparatorie. Kappler prosegue la sua ricerca; riconosce una delle bombe inesplose e sospetta già di una matrice partigiana dell’attacco. Le persone rastrellate vengono portate nelle vicine carceri del Viminale e nel frattempo un telegramma arriva sul Lago di Garda, a Gargnano sede del Governo della Repubblica Sociale Italiana . A questo punto anche Mussolini viene informato su quanto è accaduto a Roma in via Rasella.

Al comando tedesco, il generale Maelzer, Kappler e Dollmann si incontrano per decidere cosa fare. Sentito il parere del generale Eberhard von Mackensen, a capo delle armate tedesche ad Anzio, il comando tedesco fissa la proporzione di 10 a 1 per la rappresaglia. Il giorno dopo seguirà la durissima rappresaglia e l’eccidio delle Fosse Ardeatine, ma tutto questo sarà oggetto di un post successivo. Grazie per aver letto con tanta pazienza il nostro post, con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

7 pensieri riguardo “Attentato in via Rasella

  1. quanti italiani morirono nel criminale attacco di via Rasella : mi risulta che vi fu anche un bambino : avete informazioni in merito perchè questo vile attacco viene da voi trattato in modo così sommario???

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