Battaglione volontari di Sardegna “Giovanni Maria Angioy”

A Padova il 14 agosto 1944, veniva ucciso insieme all’autista, in un attentato gappista del Partito d’Azione, il colonnello Bartolomeo Fronteddu,  comandante fino a gennaio del 1944, del Battaglione “Volontari di Sardegna – Giovanni Maria Angioy”. L’attentato in realtà aveva per obiettivo il generale Umberto Piatti dal Pozzo, ex responsabile del Comando Militare Regionale veneto. Per rappresaglia all’attentato furono impiccati e fucilati dieci partigiani.

All’episodio è dedicato un apposito post che potete rileggere cliccando sul link sottostante:

14 agosto 1944, a Padova i gappisti uccidono il colonnello Fronteddu

Il nostro post odierno è dedicato al Battaglione volontari di Sardegna “Giovanni Maria Angioy” unità della Repubblica Sociale Italiana composta da soli sardi che operò in Istria e Venezia Giulia nella Zona d’operazioni del Litorale adriatico. L’OZAK (Operationszone Adriatisches Küstenland) fu una suddivisione territoriale istituita nel settembre 1943  e comprendente le province italiane di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana, sottoposta alla diretta amministrazione militare tedesca e quindi di fatto sottratta al controllo della R.S.I.

Ritorniamo ai tragici giorni dell’8 settembre 1943, quando viene reso pubblico l’armistizio fra Regno d’Italia e potenze alleate firmato il precedente 3 settembre. Messi di fronte al cambiamento di fronte i tedeschi invadono in forze la penisola, travolgendo le unità italiane sia sul territorio nazionale che nei balcani e in Francia meridionale dove erano schierate con compiti di occupazione numerose divisioni italiane. Quasi settecentomila militari italiani che non vollero riprendere la guerra furono trasferiti come lavoratori coatti in Germania, ma ci furono anche numerosi reparti che decisero di continuare la guerra a fianco del “vecchio alleato”.

Fra questi reparti vi fu anche il battaglione oggetto del nostro post odierno. Figura di spicco di questa vicenda fu il padre saveriano Luciano Usai, cappellano militare del glorioso 31º Battaglione guastatori d’Africa del Genio. Nativo di San Gavino il religioso aveva combattuto per 28 mesi in Africa Settentrionale nel reparto di guastatori comandato da Paolo Caccia Dominioni. Sul fronte, oltre le decorazioni tedesche, una delle quali datagli personalmente da Rommel, si era guadagnato anche una medaglia d’argento e una di bronzo.

A seguito del disfacimento delle forze armate, padre Usai tentò di rientrare in Sardegna raggiungendo Civitavecchia, ma il rientro si rivelò impossibile sia per lui che per molti altri sardi che nel frattempo erano affluiti nel porto laziale. Vedendo altri sardi in difficoltà e impossibilitati al rientro il religioso incominciò a richiedere aiuto sia presso il Vaticano sia presso il comando tedesco. In virtù del suo glorioso passato militare, gli venne concesso un lasciapassare più alcuni autocarri e viveri con l’impegno di costituire presso Capranica un centro raccolta per sardi.

La notizia, diffusa anche via radio, fece affluire diversi volontari sardi, oltre a quelli che reclutò direttamente padre Usai sottraendoli alle carceri i cui erano stati reclusi per essersi opposti all’occupazione tedesca.  Quelli che non possono muoversi, padre Usai li va a cercare; così infatti racconta, un po’ enfaticamente, nel memoriale scritto nel ’45 mentre è in carcere a Buoncammino (a Cagliari), pubblicato sul giornale “Il Quotidiano” in data 16 marzo del 1945:

«Fossero qui presenti tutti i militari da me salvati dalle carceri e dai campi di concentramento tedeschi… In particolare i 22 militari sardi della caserma dell’aeronautica di Viale Giulio Cesare a Roma, in attesa di essere severamente giudicati da un tribunale tedesco, e da me salvati dopo essermi reso garante per loro. I 117 militari sardi, rinchiusi nel forte di Bracciano e condannati a morte per spionaggio e sabotaggio, da me salvati dopo tante premure e suppliche, mettendo a rischio la mia stessa vita».

Con la costituzione della Repubblica Sociale Italiana il sardo Francesco Maria Barracu, invalido di guerra avendo perso un occhio durante un operazione di rastrellamento nel 1937 in Africa Orientale Italiana, fu nominato sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri. Padre Usai che aveva stretto con lui rapporti di profonda amicizia, fin dai tempi in cui Barracu era stato federale del PNF di Bengasi, ottenne da lui un incontro in cui gli sottopose la questione dei sardi presenti a Capranica.

Barracu decise pertanto di formare un’unità organica composta interamente da sardi volontari, in buona parte reduci dalla disciolta 12ª Divisione fanteria “Sassari”, così nel settembre del 1943 venne quindi aperto l’arruolamento con questo comunicato:

«Il Sottosegretario alla presidenza Barracu ha aperto nel collegio militare di Roma un ufficio di assistenza Sardi. Chiunque si presenta in età militare viene arruolato su due piedi nel Battaglione “Angioy”.»

Il Battaglione aveva come insegna il fascio littorio con i classici quattro mori bendati dello stemma della Sardegna. Per inciso, il gonfalone del Battaglione ha superato tutte le traversie della guerra e del dopoguerra ed attualmente è custodito da un noto penalista nuorese. Il fregio delle divise è costituito da un fascio su due “Guspinese” incrociate, il classico coltello sardo a serramanico divenuto famoso durante la Prima guerra mondiale, e sovrastate da un teschio.

Ai sardi già presenti furono sottoposte alcune soluzioni al loro status di sbandati: andare a lavorare in Germania o nelle fabbriche del nord, o comunque abbandonare Capranica dove sarebbero rimasti solo coloro che si sarebbero arruolati nelle forze armate della Repubblica Sociale Italiana. Per organizzare ed addestrare il nascente reparto venne inviato in loco un gruppo di ufficiali fra cui  il tenente colonnello della Guardia Nazionale Repubblicana Bartolomeo Fronteddu.

Fronteddu, un anziano militare di carriera che era rimasto invalido durante la Grande Guerra , sarà il primo comandante dello stesso reparto a cui aderiranno circa un migliaio di uomini. Furono vestiti, addestrati e armati con fucili Carcano Mod. 91, mitra Beretta MAB 38 e mitragliatrici Breda-SAFAT e Breda Mod. 31 ed organizzati in un battaglione che venne intitolato a Giovanni Maria Angioy, rivoluzionario e politico sardo considerato un patriota dall’autonomismo ed indipendentismo isolano.

Il reparto, a novembre del 1943, si trasferì nella caserma “Lungara” di Roma, dove rimarrà sino al 12 dicembre. Durante il soggiorno romano, un gruppo di militari del reparto disertò e trovò rifugio nella stessa Capranica. Padre Usai accompagnato dal colonnello Fronteddu, si recò più volte sul posto tentando inutilmente di convincerli a fare rientro al reparto. Nel frattempo il partigiano Salvatore Alessi preso prigioniero dai tedeschi pochi giorni prima rivelò la presenza dei disertori, offrendosi di accompagnarli.

Il 17 novembre due autocarri delle SS giunsero a Capranica e bloccate le arterie principali rastrellarono diciotto disertori. Fra di essi, uno solo Francesco Zuddas, scampò fortunosamente alla morte e, ignaro della delazione dell’Alessi, accusò della strage Padre Usai quando questo, dopo la prigionia fu processato in Sardegna. Sempre durante il periodo romano due militari del battaglione, l’ufficiale Gavino Luna e il sergente Pasquale Cocco, furono arrestati con l’accusa aver compiuto atti di sabotaggio. Finirono entrambi fucilati nelle Fosse Ardeatine.

Il battaglione fu quindi trasferito a Cremona nel dicembre 1943 dove furono allontanati gli elementi non fidati. Nel gennaio del 1944 da Cremona il Battaglione fu trasferito a Opicina, località vicino a Trieste, mentre altri reparti dell’Angioy furono dislocati invece a Abbazia e a Pola. Nello stesso mese il colonnello Fronteddu, primo comandante del Battaglione, assunse un nuovo incarico, a Padova presso il Comando provinciale dove, come abbiamo visto ad inizio post il 14 agosto 1944, fu ucciso.

A quel punto il comando del battaglione venne assunto dal giovane capitano cagliaritano Achille Manso, che sino a quel momento aveva ricoperto l’incarico di comandante interinale. Trattando la prima parte del battaglione quello trasfetito a Opicina, nello stesso alla fine del mese di agosto, si verificò un grave atto di diserzione da parte di un gruppo di 28 soldati che , guidati da Luigi Podda si unì ai partigiani della brigata d’assalto Trieste.

Piccola parentesi prima di proseguire, Podda ritornerà alla ribalta delle cronache nazionali qualche anno dopo, nell’immediato dopoguerra, condannato a venticinque anni di reclusione per una rapina a un furgone porta valori avvenuta il 9 settembre 1950 in cui trovarono la morte tre carabinieri.

A seguito di queste ultime diserzioni il reparto fu sciolto e i militari trasferiti  in un campo di concentramento presso Opicina. Coloro i quali riconfermarono il proprio giuramento di fedeltà alla Repubblica Sociale furono assegnati a vari reparti italiani. L’aliquota maggiore fu assorbita dal XIV Battaglione costiero da fortezza di stanza a Fiume che era costituito da 200 militi della Guardia Nazionale Repubblicana di Frontiera, già della Milizia Confinaria della MVSN. Il capitano Achille Manso assunse invece il comando del XVI Battaglione difesa costiera “Julia” di stanza a Gorizia.

Non esistono notizie certe ma con tutta probabilità non fu però sciolto tutto il battaglione, bensì solo il reparto che si trovava a Trieste, dal momento che la presenza del Battaglione fu accertata, in data successiva al febbraio 1944, sia a Fiume che a Pola. Si sa, molto genericamente, che i Sardi furono impiegati in operazioni di antiguerriglia contro le formazioni partigiane jugoslave sino alla fine del conflitto.

Passando ora a trattare la seconda sezione del reparto, quello acquartierato ad Abbazia in Istria non lontano da Fiume e Pola, su incarico di Barracu, padre Usai trasse, nel marzo del 1944, un gruppo di volontari che si paracadutarono con lui in Sardegna tra giugno e novembre dello stesso anno per compiervi azioni di spionaggio e di sabotaggio. Il gruppo, debitamente addestrato dai tedeschi, dopo essere stato imbarcato sugli aerei a Bergamo fu paracadutato in più riprese in Sardegna, con lo stesso padre Usai che toccò terra a Is Arutas, presso Cabras, il 23 giugno. Dopo varie vicende padre Usai fu arrestato dai carabinieri del controspionaggio in un ristorante di Alghero.

Gli altri otto paracadutati furono: il tenente Pischedda, il sergente maggiore Mario Corongiu di Laconi, il soldato Francesco Campus di Macomer, l’aviere Angelo Manca di Villanova Monteleone, il caporale Antonio Marchi di Zeddiani, l’aviere Virgilio Cotza di Orroli, il sergente Antonio Mastio di Orani, l’aviere Antonio Castia di Macomer. I militari toccarono terra in due notti successive, ma furono tutti catturati e rinchiusi in una specie di campo di concentramento situato nella periferia di Oristano, in attesa di essere tradotti nelle carceri della stessa cittadina.

Dal campo, temendo una condanna a morte per spionaggio, riuscì a evadere il tenente Pischedda ma, incappato in una pattuglia di carabinieri, rimase ucciso nel conflitto a fuoco. Un ultimo lancio lo effettuò il sergente cagliaritano Francesco Trincas, quattro mesi dopo, ma anche questi fu catturato. Furono tutti processati nel marzo del 1945 dal tribunale militare con l’accusa di alto tradimento per essersi arruolati nell’esercito della Repubblica Sociale; pubblico ministero fu il tenente Francesco Coco, che finirà ucciso dalle Brigate Rosse nel 1976.

Il pubblico ministero chiese la condanna a morte mediante fucilazione alla schiena per padre Usai e l’assoluzione per tutti gli altri imputati. Il tribunale invece inflisse al cappellano una condanna a trent’anni di carcere e dispose l’assoluzione per tutti gli altri. Padre Usai finì nel penitenziario dell’ Asinara, da dove uscì nel 1946 in virtù della cosiddetta “amnistia Togliatti”. I suoi commilitoni, seppure assolti dal tribunale militare, dovettero scontare due anni di confino erogati dall’Alto Commissariato per le Sanzioni contro il Fascismo.

Quale sia stato con precisione l’impiego operativo del battaglione, le perdite subite e soprattutto cosa è accaduto di loro (anche se purtroppo è facile immaginarlo), allorché il 3 maggio del 1945 i partigiani di Tito occuparono Fiume e l’Istria, è oggetto sconosciuto. Prima di chiudere il post ricordiamo che la vicenda del battaglione di volontari sardi della R.S.I. portò un giornalista della rivista Signal, forse il periodico illustrato più diffuso nella Germania nazista a fare una lunga intervista al colonnello Fronteddu in cui ricordandone i precedenti bellici della Prima guerra mondiale così lo presentò ai lettori:

«Il mio ospite aveva un solo braccio; l’altro, il destro, lo aveva perduto da giovane tenente nel 1915 in una battaglia dell’Isonzo. Appena guarito da questa ferita, raggiunse nuovamente il fronte quale comandante di una compagnia e combatté in prima linea, ove nel 1916 venne fatto prigioniero dagli Austriaci della “K.K. Edelweis – Division”. I nemici gli lasciarono la pistola e dopo alcuni mesi lo scambiarono»

Il “Signal” nel numero 4 del del 1944, dedicò ai volontari sardi la copertina oltre a numerose fotografie. Al giornalista tedesco che lo intervista, il comandante del Battaglione, dichiara:

«Avrete occasione di conoscere degli uomini veramente interessanti, come ad esempio un cappellano militare che é fregiato del distintivo germanico dei carristi d’assalto oltre che della croce di ferro di seconda classe. Nel mio Battaglione trovano accesso soltanto i Sardi perché io so che i miei conterranei sono combattenti nati […]. I miei uomini dovranno combattere esclusivamente in montagna. Saranno armati soltanto con la pistola automatica, le bombe a mano e il pugnale […]. Noi vogliamo combattere, combattere al più presto possibile”. ».

Grazie per aver letto il nostro post e con la speranza che vogliate continuare a seguirci anche in futuro Vi salutiamo e diamo appuntamento al prossimo.

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